Pavia e S. Maiolo

Certosa di Pavia, Chiostro di San Maiolo, San Salvatore, Cappella di San Maiolo

Foto di Livio G. Rossetti
27 ottobre 2022

Questa non è una vera gita turistica (gruppo composto da don Silvio, Gaudenzio, Maria Rosa, Marcella e dal sottoscritto), non è un pellegrinaggio religioso, anche se l'iniziativa è partita da don Silvio, il nostro parroco; lui ha effettivamente in mente di organizzare entro breve un pellegrinaggio che comprenda due tappe del nostro viaggio odierno: la Certosa di Pavia e la chiesa del Santo Salvatore di Pavia, dove, nella prima cappella a sinistra, detta di San Maiolo, è custodito l'unico ciclo di affreschi che racconta alcuni episodi significativi della vita di Maiolo, quarto abate della grande Abbazia di Cluny, in Francia. Il comune dove è sita la prima tappa, prende il nome dal monastero certosino, famoso con il nome di Certosa di Pavia, in realtà denominato Monastero Santa Maria delle Grazie, abbrevviato in GRA-CAR (Gratiarum Carthusia), cioè "Certosa delle Grazie".

Il monastero fu fondato nel 1396 (nel dettaglio dei bassorilievi del portale si nota Gian Galeazzo Visconti che posa la prima pietra il 27 agosto, alla presenza dei vescovi di Pavia, Novara, Feltre e Vicenza, e Gian Galeazzo passò la pietra di fondazione prima a Giovanni Maria Visconti e poi a Filippo Maria Visconti, come segno della trasmissione del potere ducale) e consacrato nel 1497, al margine settentrionale del Parco Visconteo, a nord del castello di Pavia, per volere di Gian Galeazzo Visconti, allora a capo di un vasto territorio, infatti era Duca di Milano (l'investitura a Duca fu pagata diecimila fiorini all'imperatore Venceslao di Lussemburgo nel 1395), conte di Vertus, di Pavia (dal 1359), Signore di Milano, di Verona, di Crema, di Cremona, di Bergamo, di Bologna, di Brescia, di Belluno, di Feltre, della nostra Novara, di Como, di Lodi, di Vercelli, di Alba, di Asti, di Pontremoli, di Tortona, di Alessandria, di Valenza, di Piacenza, di Bobbio, di Parma, di Reggio Emilia, di Vicenza, di Pisa, di Perugia, di Siena e di Assisi.

Gian Galeazzo, pur essendo duca di Milano risiedeva e manteneva la sua corte a Pavia, richiamando in quel modo come erede la memoria dei re longobardi e del regno Italico che, nel palazzo Reale di Pavia, avevano posto il centro della loro regalità. Questo fatto fece infuriare i milanesi e il vescovo di Milano che, il 12 maggio 1386 decisero di ricostruire una nuova e più grande cattedrale che sorgesse sul luogo del più antico cuore religioso della città, rimarcando la centralità di Milano agli occhi di Gian Galeazzo che aveva scelto di risiedere e di mantenere la sua corte, come già il padre Galeazzo II, a Pavia e non a Milano. Quindi la Certosa doveva essere una ripicca nei confronti dei milanesi che avevano deciso di costruire il loro duomo quale chiesa dei nobili, del popolo, delle corporazioni artigianali e mercantili di Milano, escludendo Gian Galeazzo.

La Certosa ha rappresentato per il territorio pavese una fonte di ricchezza sia religiosa che culturale, ma anche economica. I monaci Certosini determinarono il miglioramento delle terre agricole con l'uso delle marcite, distribuendo le acque delle risorgive, tiepide in inverno e fresche in estate, che consentivano di ottenere più di un taglio d'erba l'anno, e delle ghiacciaie (dette più propriamente "conserve") che servivano ad immagazzinare la neve e il ghiaccio proveniente dalle zone montane circostanti: erano luoghi interrati e riempiti di neve e ghiaccio dove conservare gli alimenti.
Le prime tribù che s'insediarono in questi territori furono i Liguri e gli Umbri, che si limitarono alla coltivazione delle poche zone fertili. Con l'avvento degli Etruschi, furono attuate opere di canalizzazione e di drenaggio delle acque del Ticino e del fiume Po. In epoca romana i terreni furono divisi secondo il metodo della centuriazione, in modo che ogni fondo avesse una superficie costante e regolare pari a circa cinquanta ettari, dati a mo di compenso ai legionari romani al termine del loro servizio militare. Tale suddivisione diede origine ad una rete di strade che correvano parallele e perpendicolari a quella che ancora oggi collega Milano a Pavia.

Quella che abbiamo visitato brevemente, la Certosa di Pavia, è un complesso monumentale storico formato da un grande monastero e un sontuoso santuario ubicato a circa otto chilometri a nord di Pavia. Fu edificato per volere di Gian Galeazzo Visconti in adempimento al voto della consorte Caterina dell'8 gennaio 1390, e come mausoleo sepolcrale della dinastia milanese, ed essendo la costruzione durata circa un secolo presenta diversi stili, dal tardo-gotico italiano al rinascimentale, e ha avuto apporti di diversi architetti, artisti e maestri del tempo. In origine il complesso fu affidato ai certosini, poi ai cistercensi e, per un breve periodo, anche ai benedettini e, dopo l'unificazione del Regno d'Italia, la Certosa fu dichiarata nel 1866 monumento nazionale e acquisita dal demanio dello Stato italiano, così come tutti i beni artistici ed ecclesiastici in essa contenuti; dal 1968 ospita una piccola comunità monastica cistercense.

Per essere un monastero per certosini ai nostri occhi appare come un luogo sfarzoso, per figli di nobili e dove i Visconti hanno profuso danari in quantità. Invece Gian Galeazzo Visconti donò alla Chiesa le cittadine di Binasco, Magenta, Boffalora e San Colombano, nel 1397 anche Selvanesco e Marcignago, e nel 1400 anche Vigano e durante la prima fase dei lavori, i monaci risiedettero nell'antico castello di Torre del Mangano e nel Castello di Carpiano (detto Grangia), uno dei tanti territori lasciati ai monaci da Gian Galeazzo, per poi occupare gli ambienti conventuali, i primi ad essere edificati. Era dal controllo delle messi, dei mulini, delle rogge che venivano le ricchezze della Certosa, impiegate per far arrivare i laterizi, i marmi, le maestranze, i pittori e gli scultori, gli architetti e le maestranze per oltre un secolo di lavoro.

Con la morte del duca del 1402 i lavori si arrestarono. Nel 1412, il secondo figlio e successore del ducato, Filippo Maria Visconti, riprese la costruzione affidando i lavori a Giovanni Solari che vi lavorò dal 1428 al 1462, anche dopo la morte di Filippo Maria (1447) e la conquista del ducato da parte di Francesco Sforza (1450). I lavori passarono quindi al figlio dell'architetto, Guiniforte Solari che vi lavorò fino al 1481. In seguito, Giovanni Antonio Amadeo li continuò tra il 1481 e il 1499, sotto il Duca Ludovico il Moro.

La facciata della chiesa è opera di diversi artisti che nel tempo sono succeduti ai Solari per cui nelle varie parti si notano soluzioni diverse, più o meno fastose, lasciando incompiuta la parte alta centrale. Risulta quindi realizzata da diverse parti rettangolari, cariche di decorazioni, tipico procedimento dell'architettura rinascimentale lombarda e l'insieme è realizzato in marmo di Carrara e per alcune parti in marmo di Candoglia, pietra di Varenna, un marmo nero del Lario, pietra di Saltrio originaria dell'omonimo paese del varesotto, calcare di diversi colori, nero, cenerino, latte usato per capitelli e nei bordi delle finestre, porfido rosso egiziano. Nella decorazione sono presenti imperatori romani, personaggi mitici, scene religiose del Vecchio e Nuovo Testamento, motivi floreali e antichi, con statue di apostoli, angeli e santi, alternati alle quattro grandi bifore, due delle quali cieche. Nelle grandi bifore dalla fitta e stravagante decorazione, dove sono accostati putti festanti con ghirlande, figure femminili con cornucopie, angeli che intonano inni. Al di sopra della galleria di archetti con statue vi è al centro un grande oculo sormontato da un timpano, e ai lati bifore coronate da lunette; in questa fascia lo spazio viene occupato da lastre levigate con semplici motivi geometrici. La minuta decorazione scultorea prosegue nei pinnacoli, dei quali furono realizzati solo quelli laterali, lasciando la parte centrale incompiuta.

L'interno della chiesa è grandioso e sfarzoso. Il presbiterio sino all'abside è interamente occupato dagli stalli riservati al clero celebrante. Il grande coro in legno è un'opera d'intarsio rinascimentale, commissionata da Ludovico il Moro. I 42 dossali raffigurano santi o personaggi biblici, ciascuno dei quali mostra alle spalle scenari architettonici o naturali con elaborate e fantasiose costruzioni di gusto rinascimentale. L'altare maggiore è posto all'interno del presbiterio e non è utilizzato per le celebrazioni religiose che si svolgono nella navata centrale, davanti alla cancellata. La zona del presbiterio è chiusa alla vista dei fedeli come nella tradizione monastica, soprattutto certosina, da un tramezzo realizzato nel seicento e decorato da statue barocche.
Gli affreschi che ornano le pareti e le volte del transetto si devono a Bergognone coadiuvato da un gruppo di altri maestri. Nell'abside di destra del transetto vi è l'affresco con Gian Galeazzo Visconti che dona la Certosa alla Madonna, tra Filippo Maria Visconti, Galeazzo Maria Sforza e Gian Galeazzo Sforza, eseguito tra il 1490-1495, mentre l'abside di sinistra rappresenta l'Incoronazione della Vergine tra Francesco Sforza, Ludovico il Moro e i Santi Fortunato, Giorgio e Pietro da Verona, con cui il Moro voleva celebrare la propria successione dinastica.
Nel transetto vi sono poi due monumenti funebri di notevole interesse: nella parte sinistra si trova il Cenotafio del Duca di Milano Ludovico il Moro (1452 – 1508) e di sua moglie Beatrice d'Este (1475 – 1497), opera dello scultore rinascimentale Cristoforo Solari. Fu lo stesso Ludovico a commissionarne l'esecuzione dopo la morte della moglie ma, a causa della sconfitta militare di Ludovico nel 1499 a Novara, il monumento funebre rimase incompiuto e non se ne ebbe più traccia fino al 1564, quando la lastra superiore venne acquistata da Oldrato Lampugnani e portata alla Certosa. Solo alla fine del secolo XIX fu costituito il basamento appoggiando il coperchio su di un sarcofago di marmo rosso. Le tombe sono sempre state inutilizzate, in quanto il Moro fu catturato dai francesi e morì in Francia ed è sepolto a Tarascona, mentre Beatrice è sepolta nella Chiesa di S. Maria delle Grazie a Milano.
Nella parte destra del transetto si trova il monumento funebre del fondatore della Certosa, Gian Galeazzo Visconti, (1351 – 1402), primo Duca di Milano, che nel proprio testamento dispose che il suo corpo fosse sepolto nella Certosa, mentre il suo cuore doveva essere conservato nella Basilica di San Michele Maggiore. Il monumento fu commissionato dal duca Ludovico nel 1492 e fu terminato solo nel 1562.

La navata della chiesa fu progettata in stile gotico, e la sua costruzione fu completata nel 1465. Poi, l'influenza del primo Rinascimento divenuta importante in Italia, spinse Guiniforte Solari, nei lavori tra il 1462 e il 1481, dette un'impronta rinascimentale al resto della chiesa, con gallerie ad archi, pinnacoli e la piccola cupola sopra il transetto, con dettagli in terracotta. Anche i chiostri furono riprogettati e il chiostro grande ebbe la sistemazione definitiva nel 1472.
Le cave di marmo e pietra erano assenti da quei territori, quindi i certosini, grazie alle entrate cospicue e costanti garantite dai fondi agricoli donati da Gian Galeazzo Visconti e dai suoi successori, compresi gli Sforza, non acquisirono proprie cave, ma si affidarono a fornitori privati, come la Fabbrica del Duomo di Milano, e nel 1473 fu stipulato un contratto tra la Fabbrica del Duomo e i monaci della Certosa, grazie al quale la Fabbrica si impegnava a garantire rifornimenti continui di marmo e pietra da costruzione alla Certosa. I materiali godevano dell'esenzione ducale dai dazi, giungevano alla Certosa tramite il Navigliaccio e venivano sbarcati a Binasco, da dove proseguivano via carro fino al cantiere e, dopo il ripristino del tratto di navigazione tra Binasco e Pavia, fu possibile scaricare i marmi e le pietre direttamente presso la Certosa. Sempre nel 1473 iniziarono i lavori di rivestimento e decorazione della facciata del monastero, per la quale i certosini decisero di utilizzare il marmo di Carrara considerato di maggior pregio rispetto a quello di Candoglia, ma anche più costoso. Il prezioso marmo, dopo essere stato imbarcato a Carrara, giungeva via nave, dopo aver circumnavigato l'Italia, alle foci del Po, da dove risaliva poi fino a Pavia. Il materiale che non venne utilizzato fu poi rivenduto alla Fabbrica del Duomo di Milano.

Il 3 maggio 1497 la Chiesa venne consacrata dal nunzio papale alla presenza di una grande folla, quando la parte inferiore della facciata non era stata ultimata e fu completata solo nel 1507, mentre nei secoli XVI e XVII furono ultimati il transetto e la sagrestia nuova.
La chiesa ha pianta a croce latina divisa in tre navate con abside e transetto, coperta da volte a crociera su archi a sesto acuto, ispirata, alle proporzioni del Duomo di Milano, ma ridotte, e questo contributo venne da tre architetti del duomo che collaborarono al primo progetto della chiesa certosina. Particolari sono le parti terminali dei transetti (in azzurro) e della cappella maggiore (in giallo, in marrone il coro), costituiti da cappelle a pianta quadrata chiuse su tre lati da absidi semicircolari, secondo una soluzione trilobata. Al centro del transetto la forma quadrata si trasforma in ottagono mediante le lunette triangolari sorrette da quattro colonnine, e sull'ottagono si costruisce la cupolina circolare. La tecnica costruttiva delle volte è la classica crociera gotica. Le volte delle navate laterali risultano dalla combinazione di cinque costoloni di crociera e si aprono a ventaglio verso lo spazio centrale. Le volte del soffitto nelle sei parti divise con diverse ampiezze sono dipinte con motivi geometrici alternati con un cielo stellato. Le volte sono sostenute da pilastri a fascio, di tipo gotico, mentre gli archi di accesso alle cappelle laterali delle navate presentano già un disegno classico tipico della transizione dal gotico al rinascimento.

Il refettorio fu tra i primi ambienti ad essere edificati e nei primi anni del cantiere fu utilizzato come chiesa, trattandosi di un'aula rettangolare molto ampia. La volta a spicchi presenta la decorazione più antica, mentre al centro è il sole radiante, emblema della dinastia viscontea. Il pulpito marmoreo fu scolpito all'inizio del Cinquecento con l'arco classico e la balaustra con statue. Da esso venivano effettuate le letture durante i pasti. Più tardo è l'affresco dell´Ultima Cena (1567).
Un portale decorato conduce dalla chiesa al chiostro piccolo al cui centro si trova un giardino: era il luogo in cui si svolgeva gran parte della vita comunitaria dei monaci collegava la chiesa, la sala capitolare, la biblioteca e il refettorio. Da esso si vede il fianco e il transetto della chiesa, con le guglie, le loggette e il tiburio. Un tempo tutti i tetti erano ricoperti di rame, sequestrato durante le guerre napoleoniche per la costruzione di cannoni. Il chiostro piccolo fu in parte messo in opera già nel 1402, ma la sua decorazione venne ultimata solo tra il 1451 e gli anni'60 del XV secolo. Gli ornamenti in terracotta che sormontano i sottili pilastri di marmo sono stati eseguiti nel 1466. All'interno del chiostro piccolo vi è il lavabo in pietra e terracotta, con la rappresentazione della scena della Samaritana al pozzo (terzo quarto del XV secolo).

Decorazioni simili, opera degli stessi scultori, sono presenti anche nel chiostro grande, lungo circa 125 metri e largo circa 100. In origine le celle erano 23. Interventi strutturali nel 1514 ne aumenteranno il numero, che passarono a 36. Oggi si affacciano sul chiostro grande 24 celle, ognuna costituita da tre stanze e un giardino. Di fianco all'ingresso delle celle, siglate da lettere dell'alfabeto, è collocata una piccola apertura entro cui il monaco riceveva il suo pasto giornaliero nei giorni feriali, in cui era prescritta la solitudine. Per i pasti comunitari nei giorni festivi, ci si riuniva nel refettorio. Il vasto porticato fu costruito tra il 1463 e il 1472, anche se le terraccotte decorative furono ultimate solo intorno al 1480. Sono scomparsi i dipinti che ornavano un tempo il chiostro. Il chiostro grande è dotato di un grande orologio meccanico risalente al 1731 e dotato di due campane.

Dopo la visita alla Certosa ci siamo recati in via Cardano, al 45, dove è ubicato dal 1962 l'Archivio di Stato; alla parete vi è l'indicazione "Chiostro di San Maiolo", ed ecco il perchè della nostra visita: si dovevano vedere i resti di quello che fu il primo monastero cluniatense creato da Maiolo in Italia e che divenne il principale centro di diffusione della riforma cluniacense, e non delle antiche carte custodite nell'archivio. Il monastero fu fondato nell'anno 967 dal giudice Gaidolfo, che ne fece dono a Maiolo, abate di Cluny, chiamato a Pavia dalla regina Adelaide, sua estimatrice. Esaurita la sua funzione storica, nel sec. XIII iniziò la decadenza del monastero, passato in commenda nel 1380; la famiglia Corte, ultima commendataria, nel '400 abbellisce il chiostro del Convento con interventi artistici pregevoli. Il convento fu poi soppresso nel 1564 quando Papa Pio IV concesse l'intera struttura all'erigendo Collegio Borromeo, cui va in dote il ricco patrimonio mobiliare e immobiliare del Monastero. Due anni dopo viene affidato ai Padri Somaschi, che nel 1586 iniziano la ricostruzione della Chiesa che sarà terminata ai primi del Seicento. I Padri Somaschi aprono una scuola per giovani nobili, e negli ultimi tempi, anche un orfanotrofio. Il complesso è abbandonato nel 1793, viene messo all'asta e la chiesa viene sconsacrata. Dai privati l'intero complesso passa poi allo Stato nel 2000, incamerando, oltre l'ex convento, anche la vecchia chiesa.

Nel 1596 la vecchia chiesa romanica fu demolita (rimangono in vista parte dei monconi delle colonne di quel periodo lungo i corridoi dell'archivio) e incominciò la costruzione di quella attuale, profanata nel 1790 assieme al monastero annesso. Il complesso fu parzialmente restaurato nel 1960, ad eccezione della chiesa, ed ospita attualmente l'Archivio di Stato. La parte dell'edificio attualmente interessata da lavori di restauro è il chiostro quattrocentesco, con portico al piano terreno e loggette al piano superiore. La fascia decorativa ad affresco sopra le arcate del porticato reca lo stemma della famiglia Corti. Diversi membri della famiglia furono abati commendatari di S. Maiolo, e uno di questi, nella seconda metà del Quattrocento, ricostruì il chiostro che ora è visibile. Al piano terreno si osservavano poche tracce del chiostro del secolo XII e, sembra, dell'antico monastero.

Ma chi era Mayeul, cioè Maiolo? Sappiamo che era nato a Valensole, tra il 906 e il 910, in un paesino della Provenza francese, circondato oggi da sterminati campi di lavanda; suo padre era il conte di Forcalquier, e Mayeul da grande era un uomo elegante, ricco di preziose doti naturali e spirituali, colto, letterato, eloquente, e che nell'alleviare spesso la miseria altrui aveva acquistato fama di taumaturgo. In giovane età perdette i genitori attraversando territori infestati da Saraceni, trovando rifugio a Macon, presso un cugino. Frequenta le scuole di Lione, diviene canonico e arcidiacono a Macon; rifiuta di diventare arcivescovo di Besancon ma, in seguito a una conversione, diviene monaco di Cluny, discepolo di Odone, poi bibliotecario, apocrisario (un alto rappresentante diplomatico nel mondo ecclesiale) nel 948 e infine, nel 954 coadiutore dell'abate Aimardo, e nel 965, alla morte di Aimardo, Maiolo diventa abate di Cluny. La sua fama fu la base delle sue relazioni con i principali personaggi del tempo, a cominciare dagli imperatori germanici del Sacro Romano Impero e dai re di Francia e di Borgogna, e lo indussero a incaricarsi della "riforma" di molti monasteri, e tra questi, quello di Pavia.

Dopo aver brevemente pranzato, ci spostiamo di un breve tratto di strada e giungiamo al alla chiesa del Santo Salvatore, nota anche con il nome di basilica di San Mauro. Vedendo gli affreschi della prima cappella di sinistra in questa chiesa possiamo ripercorrere alcune fasi della vita dell'abate Maiolo. Questa chiesa fuori mano posta su un tratto della via Francigena che collegava Roma alla Francia, fu fondata nel 657 dal re longobardo Ariperto I, re d'Italia dal 653 al 661, e divenne chiesa sepolcrale per molti dei re longobardi (Ariperto I, i suoi figli Pertarito e Godoperto e i nipoti Cunicperto, Liutperto e Ariperto II), creando un vero mausoleo dinastico. Fu ricostruita una prima volta nel 970 grazie alla regina Adelaide, che fondò, accanto alla chiesa, il monastero di San Salvatore, affidandolo a una comunità benedettina. Nella seconda metà del 'Quattrocento sul sito della chiesa medievale venne costruita l'attuale basilica e, tra il XV e il XVI secolo, fu riccamente affrescata e decorata al suo interno. Nel XVIII secolo la chiesa e l'annesso monastero furono trasformati in caserma e deposito militare e fu spogliata di molte opere d'arte. La chiesa fu recuperata e riaperta al culto solo nel maggio 1901. Alcuni scavi archeologici effettuati nel 2018/19 all'interno del chiostro hanno portato alla luce un'area cimiteriale e si ipotizza che nell'XI secolo furono ricollocati i corpi dei sovrani longobardi sepolti precedentemente all'interno della basilica.

Il complesso attraversò un periodo di decadenza durante le operazioni militari che contrapposero i Longobardi di Desiderio ai Franchi di Carlo Magno, il quale espugnò Pavia, ponendo fine al regno longobardo nel 774. La città non perse però il suo ruolo di capitale del regno, sede del palazzo reale e del governo (come testimoniato dal Capitolare di Lotario, dell'825, con cui si dava avvio ad una scuola giuridico-amministrativa in Pavia). Altro documento che menziona San Salvatore prima dell'intervento di ricostruzione di Adelaide, è un diploma stilato dalla cancelleria di Ugo e Lotario tra il 940 e il 944 col quale i regnanti confermano al vescovo di Pavia tutti i beni che possedeva prima dell'incendio causato dagli Ungari nel 924: tra questi beni c'è la chiesa Domini Salvatoris, non lontano dal Ticino.

Adelaide, regina consorte d'Italia (dal 947 al 950, come moglie di Lotario II d'Italia, e successivamente dal 962 al 973, come moglie di Ottone I) decise di ricostruire dalle fondamenta sia la chiesa sia il monastero. Nel 971 affidò il monastero all'Ordine dei benedettini e l'organizzazione religiosa al monaco Maiolo, abate della potente abbazia di Cluny.
Nel 1024, alla notizia della morte dell'imperatore Enrico II, i pavesi distrussero il palazzo imperiale, da quella data in poi, tutti i sovrani che soggiornarono in città risiedettero in un nuovo palazzo reale, sorto presso la basilica del Santo Salvatore. Successivamente nel palatium presso San Salvatore venne ospitato Federico Barbarossa, incoronato poi re nella basilica di San Michele maggiore. Nel 1248 anche l'imperatore Federico II soggiornò nel palatium presso il monastero di San Salvatore. Durante l'assedio posto a Pavia da Galeazzo II Visconti nel 1356, le forze viscontee realizzarono un accampamento fortificato presso la basilica, che venne poi conquistato dai pavesi.
Dal 1476 al 1511 la chiesa fu ricostruita in forme tardo-gotiche o protorinascimentali, orientata sull'asse nord-sud col prospetto frontale sull'asse viario che esce da Pavia verso ovest, mentre la chiesa medievale risultava orientata sull'asse est-ovest: essa venne demolita completamente nel 1511. La ricostruzione rinascimentale è stata così radicale da cancellare integralmente le forme e le tracce del grande complesso monumentale preesistente. L'importanza del monastero si mantenne fino alla metà del Cinquecento, come attesta il privilegio di conferma di beni e immunità emanato da Carlo V nel 1540, cui ne seguì uno analogo di Filippo II nel 1555. Nel 1585 si tenne una cerimonia ufficiale di deposizione delle ceneri dei re, già sepolti nella chiesa antica, nel nuovo edificio. Risalgono a tale data due lapidi commemorative di Ariperto e di Adelaide, fondatori e benefattori del monastero.
Nel 1782 il monastero fu soppresso per volontà dell'imperatore austriaco Giuseppe II e i monaci furono costretti ad abbandonare definitivamente le loro strutture nel 1795, anno in cui il monastero venne concesso al Municipio per alloggiarvi un collegio per studenti. Nel 1799 divenne ospedale "per dei Russi" e ancora nel 1815 risultava funzionare come ospedale militare. La chiesa invece, tra il 1782 e il 1821, continuò a funzionare ma come sussidiaria della parrocchiale di San Lanfranco.

Dal 1859 al 1900 l'autorità militare detenne l'autorità sul complesso monastico e sulla chiesa e, anche se la chiesa venne dichiarata monumento nazionale nel 1868, nel 1873 il Governo mise il complesso nelle mani del Ministero della guerra prospettando una sua demolizione che non venne attuata per l'opposizione del direttore generale delle Antichità e belle arti, e solo nel 1900, la chiesa, senza i chiostri, fu concessa dal Ministero della guerra al Ministero della pubblica istruzione e la custodia temporanea fu affidata alla Società per la conservazione dei monumenti dell'arte cristiana perché ne curasse i restauri. Il 21 marzo 1901 è avvenuta la riapertura ufficiale della chiesa, mentre solo al 1992 risale la dismissione dell'ex convento da parte dei militari.

La cappella che interessava a noi era la prima a sinistra. Viene chiamata la cappella di San Maiolo perchè, oltre alla tela eseguita nel 1901 da Gaetana Padlinski per sostituirne una più antica dipinta da Pietro Antonio Barbieri andata persa, sulle pareti laterali vi sono otto affreschi, in parte ormai persi in alcune parti a causa dell'umidità del locale, di Bernardino Lanzani di San Colombano al Lambro dell'inizio del XVI secolo, l'unico ciclo pittorico di San Maiolo. Raccontano alcuni fatti che hanno come protagonista il nostro Maiolo. Un dipinto illustra un fuoco divino che riaccende nel buio la lanterna ddi Maiolo e in un altro Maiolo che salva i naufraghi dai flutti del fiume Rodano, presso Avignone. Maiolo ferito e catturato dai saraceni: a causa della sua attività in varie parti d'Europa, aveva frequenti viaggi e spesso la necessità di valicare le Alpi. Uno di questi viaggi rischiò di riuscire fatale al santo e, tuttavia, la prigionia di Maiolo a Orsières nel 927, ad opera dei saraceni, non è che un episodio, anche se ebbe importanti conseguenze, poiché destinata a provocare una generale commozione e fornire l'occasione di liberare il Paese da quei pirati, distruggendo il loro covo di Fraxinet. Fatto che segna la fine delle invasioni e che coincide con la completa dissoluzione del diritto carolingio. In un altro dipinto viene illustrata una visione che preannuncia la sua liberazione, e in un altro l'Angelo del Signore salva Maiolo

In un altro episodio, la tiara papale viene posta ai piedi dell'abate, fatto che illustra il posto che gli si riconosceva nella Chiesa e quello che invece egli intendeva conservare: infatti nel 974, l'imperatore Ottone II e sua madre Adelaide gli offrirono la tiara, onde restituire al papato lo splendore perduto, ma lui rifiutò questo segno di stima e di amicizia che avrebbe fatto di lui la vittima delle fazioni romane. Anzi, in un altro dipinto viene raffigurato un altro episodio di quella abilità diplomatica già apprezzata dall'abate Odone e non avendo perso il suo ascendente nella corte imperiale, nel 980, riesce a riconciliare l'imperatore e sua madre Adelaide evitando lo scontro armato. Nell'ultimo affresco, intitolato "Maiolo nasce alla vita del cielo" viene illustrata la fine di Maiolo che conclude la sua esistenza quando Ugo Capeto lo chiama per risolvere alcune questioni presso la sua corte, lui ormai debole fisicamente e anziano non si ferma, si mette in viaggio ma, mancandogli le forze, si deve fermare nel suo priorato di Souvigny, dove muore l'11 maggio del 994.
Immediatamente dopo la morte fu riconosciuto come santo, costituendo il primo grande culto cluniacense. La Chiesa cattolica lo considera un santo e lo ricorda nel giorno dell'11 maggio. Il culto di san Maiolo ha rivestito un'importanza considerevole nel Medioevo. Il riconoscimento della santità di Maiolo è ben attestata dai primi tempi dopo la sua morte. Fin dal 996 il re di Francia Ugo Capeto si recò in pellegrinaggio sulla sua tomba, a Souvigny e una bolla del papa Gregorio V del 998 ricorda la felice memoria di san Maiolo.