Navigazione tra i canali di Padova e Cappella degli Scrovegni

Foto di Livio G. Rossetti

Nel primo pomeriggio ci portiamo alla Conca di Navigazione delle Porte Contarine tra via Giotto e via Matteotti e ci imbarchiamo su una barca a motore elettrico per una durata di oltre un'ora. Partendo dal monumentale Bastione del Portello Nuovo si naviga fino al Portello, antico porto fluviale con la sua bella scalinata cinquecentesca. La Porta del Portello, denominata anche Porta Venezia o Porta Ognissanti, fu eretta nel 1518, concepita più come porta ad uso civile e commerciale che come porta ad uso militare. L'esterno, che ricorda un Arco di Trionfo, è in pietra d'Istria, ha otto colonne e sopra l'attico una torretta con l'orologio. Oltre il ponte, esiste ancora l'Edicola di S. Maria dei Barcaioli del 1790, dove i viaggiatori assistevano alla messa prima di imbarcarsi sui burci. La scalinata del Portello venne costruita nel 1534. Sulla scalinata e sugli spalti delle mura i padovani erano soliti accogliere e salutare i provveditori veneziani e le personalita' che vi arrivavano. Qui facevano capo i battelli che, percorrendo fiumi e canali navigabili, collegavano Padova e la sua provincia con la laguna di Venezia.



Al termine una parte del gruppo si reca nel vicino parco di corso Garibaldi per visitare la Cappella degli Scrovegni. La cappella degli Scrovegni ospita un celebre ciclo di affreschi di Giotto dei primi anni del XIV secolo, considerato uno dei capolavori dell'arte occidentale. La navata è lunga quasi 21 m, larga 8,5 m, alta poco più di 12 m; la zona absidale è formata da una prima parte a pianta quadrata e da una successiva a forma poligonale a cinque lati.
Intitolata a Maria Vergine Annunziata, la cappella fu fatta costruire da Enrico Scrovegni, ricchissimo usuraio padovano, che agli inizi del Trecento aveva acquistato da un nobile decaduto l'area dell'antica arena romana di Padova. Qui provvide ad edificare un sontuoso palazzo di cui la cappella era oratorio privato e futuro mausoleo familiare. Chiamò ad affrescare la cappella il fiorentino Giotto che era a Padova chiamato dai frati minori conventuali ad affrescare la sala del Capitolo e altri spazi nella Basilica di Sant'Antonio.

Nell'arco di tempo tra il marzo 1303 e il marzo 1305 si colloca il lavoro di Giotto. Giotto dipinse l'intera superficie interna dell'oratorio con un progetto iconografico e decorativo unitario, ispirato da un teologo agostiniano. Tra le fonti utilizzate vi sono molti testi agostiniani, i Vangeli apocrifi, la Legenda Aurea di Jacopo da Varazze e le Meditazioni sulla vita di Gesù dello pseudo-Bonaventura, oltre a testi della tradizione medievale cristiana. Quando lavora alla decorazione della Cappella Giotto dispone di una squadra di una quarantina di collaboratori.

Nel gennaio del 1305, quando i lavori alla cappella stavano per concludersi, gli Eremitani, che vivevano in un convento li vicino, protestarono perché la costruzione della cappella si stava trasformando da oratorio in una vera e propria chiesa creando concorrenza alle attività degli Eremitani. Probabilmente in seguito a queste rimostranze la Cappella degli Scrovegni subì l'abbattimento della parte absidale con ampio transetto (documentata nel "modellino" dipinto da Giotto nell'affresco in controfacciata), dove lo Scrovegni aveva progettato di inserire il proprio mausoleo sepolcrale. La zona absidale ospita la tomba di Enrico e della sua seconda moglie, Iacopina d'Este, e presenta un restringimento inconsueto e trasmette un senso di incompletezza.
La cappella fu ufficialmente acquisita dalla municipalità di Padova con atto notarile nel 1881. Nel giugno del 2001, dopo vent'anni di indagini e studi preliminari, l'Istituto Centrale per il Restauro del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Comune di Padova avviarono il restauro degli affreschi di Giotto. Un anno prima si era inaugurato l'adiacente Corpo Tecnologico Attrezzato (CTA), dove i visitatori sono chiamati a sostare una quindicina di minuti per sottoporsi a un processo di deumidificazione e depurazione dalle polveri. Nel marzo del 2002 la Cappella fu riaperta al pubblico.

Giotto stese gli affreschi su tutta la superficie, organizzati in quattro fasce dove sono composti i pannelli con le storie dei personaggi principali divisi da cornici geometriche. Il ciclo pittorico, incentrato sul tema della salvezza, ha inizio dalla lunetta in alto sull'Arco Trionfale, quando Dio decide la riconciliazione con l'umanità affidando all'arcangelo Gabriele il compito di cancellare la colpa di Adamo. Prosegue con le Storie di Gioacchino ed Anna (primo registro, parete sud), le Storie di Maria (primo registro, parete nord), ripassa sull'Arco Trionfale con le scene dell'Annunciazione e della Visitazione, cui seguono le Storie di Cristo (secondo registro, pareti sud e nord), che continuano, dopo un passaggio sull'Arco Trionfale (Tradimento di Giuda), sul terzo registro, pareti sud e nord. L'ultimo riquadro della Storia Sacra è la Pentecoste. Subito sotto si apre il quarto registro con i monocromi dei vizi (parete nord) e i monocromi delle virtù (parete sud). La parete ovest (o controfacciata) reca il grandioso Giudizio Universale.

Il Giudizio Universale occupa l'intera controfacciata. Al centro c'è la mandorla iridata con Cristo Giudice. Ai due lati i dodici apostoli, seduti in trono: nella parte superiore le schiere angeliche, in quella inferiore, a destra, l'orrore dell'Inferno e, a sinistra, due processioni di eletti. La grande croce crea una linea verticale che prosegue idealmente fino alla vetrata centrale della grande finestra trilobata, simbolo della trinità divina. Sulla croce una tabella porta questa iscrizione: «Hic est Iesus Nazarenus rex Iudeorum», formula attestata solo in opere di Cimabue. In basso si aprono le tombe e fuoriescono i defunti, nudi, già in carne e ossa, destati dallo squillo delle lunghe trombe con cui quattro angeli, ai quattro punti estremi della mandorla di Cristo, annunciano l'ora solenne del giudizio. La croce separa in verticale lo spazio dei giusti da quello dei reprobi. Un fiume di fuoco, diviso in quattro bracci che squarciano d'una luce sinistra il regno di Satana, si stacca dalla mandorla e trascina all'ingiù i dannati, nudi, presi e straziati da diavoli irsuti e orrendi. Un gigantesco Lucifero domina la scena: dalla bocca gli pende la parte posteriore di un uomo che sta ingurgitando, un altro gli fuoriesce dall'ano. Il suo colore, come quello di tutti i diavoli, è il blu nerastro della morte. Siede su due draghi che addentano e ingoiano altri corpi. Dalle orecchie gli fuoriescono serpenti che a loro volta afferrano e addentano i dannati, uno dei quali ha in testa una tiara papale. Le nudità maschili e femminili sono rappresentate con un realismo crudo e un'evidenziazione inusuale degli organi sessuali. Alcuni peccati sono chiaramente indicati, altri invece sono suggeriti dalle pene attraverso allusioni simboliche: nello spazio tra le prime due lingue di fuoco ci sono dannati con al collo un sacchetto bianco, a sottolinearne l'attaccamento al denaro. In drammatica solitudine, poco sotto un gruppo di impiccati, Giuda Iscariota è appeso per il collo: unico fra i dannati indossa una veste bianca che si apre sul davanti e scopre il ventre squarciato e gli intestini penzolanti.

La volta con le stelle a otto punte (simbolo dell'ottavo giorno, la dimensione dell'eternità) su un cielo blu, simbolo della sapienza divina, ottenuto con azzurrite. Essa è attraversata da tre fasce trasversali che creano due grandi riquadri, al centro dei quali due tondi rappresentano la Madonna col Bambino e il Cristo benedicente; otto Profeti (sette dell'Antico Testamento e Giovanni Battista) fanno loro corona, quattro per riquadro.

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