Le news di Veveri: anno 2023 - testi e foto di Livio G. Rossetti -

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Domenica 7 maggio: inizio della settimana di festeggiamenti in onore di San Maiolo Abate, patrono di Veveri. Don Silvio Barbaglia ha anticipato, con una novità, organizzando per sabato 6 maggio una staffetta con il fuoco di San Maiolo, dalla Basilica del Santissimo Salvatore di Pavia alla chiesa di Veveri, con tappa al Torrion Quartara presso la cascina San Maiolo.

Pur frequentando da anni il Torrion Quartara, come membro dell'Osservatorio Geofisico di Novara, non mi ero mai spinto a sud, tra risaie e cascine storiche. Questo sabato 6 maggio decido di andare alla cascina San Maiolo per poterla fotografare.
Tra le risaie, dopo aver passato il Torrion Quartara sulla Mercadante, arrivo alla Cascinetta, che si riconosce per la colombaia ottagonale; svolto a destra sulla strada sterrata in direzione delle cascine San Maiolo e Malvista, che si fronteggiano, presso il terrazzo che digrada sulla pianura dove scorre il torrente Agogna. A sinistra, il cancello della cascina Malvista, costruita nel 1822, il cui nome ricorda che all'epoca della costruzione la valle, sotto il terrazzo argilloso, era acquitrinosa, soggetta alle esondazioni dell'Agogna; a destra la cascina San Maiolo, molto importante, che mi appare subito come una antica fortezza. La sua storia risulta millenaria, e rimanda alla fondazione di un luogo monastico, nella prima parte dell'XI secolo, intitolato al santo abate di Cluny. I monaci benedettini vi dimorarono fino al XV secolo, epoca alla quale dovrebbero risalire le torrette cilindriche che si vedono agli angoli. Attorno alla corte quadrata si distribuiscono gli edifici, in parte attribuibili al XVII secolo, con i locali per i salariati e la lavorazione del riso, le stalle, i magazzini, il granaio, l'abitazione del conduttore, la cappella, non certamente quella antica, dedicata a San Maiolo.

L'azienda agricola si dedica alla coltivazione del riso secondo i principi della produzione integrata. La storia della Cascina San Maiolo risulta da pochi documenti scritti. Secondo uno di questi, risalente al 1039, sul luogo dell'attuale complesso esisteva una cappella dedicata a San Maiolo. Sembra che in quel tempo sorgesse anche un monastero con personale dedito all'agricoltura dove operavano contadini, pastori e artigiani ma anche conversi e monaci: parte della cascina risale a quell'epoca. Poi la parte esterna fu fortificata e sull'angolo sinistro, prima dell'entrata, risulta ben visibile un fossato e in alto una vedetta con feritoie, segno che il fabbricato fu per molti anni luogo di difesa dalle scorribande dei molti invasori che si contendevano il territorio novarese, ma anche da assalti di briganti che popolavano la zona.

Per diversi secoli diversi furono i proprietari del cascinale fino al 1923 quando Cesare Tromellini, nonno dell'attuale proprietario, acquista la tenuta San Maiolo, un complesso che aveva ormai assunto l'aspetto attuale, quindi una cascina a corte chiusa, in questo caso a doppia corte, come molte cascine della bassa novarese, con la casa padronale, le stalle, i casseri e i vari locali distribuiti intorno alla grande aia che per molto tempo serviva all'essicazione, con il sole e l'aria, delle granaglie, in particolare il riso, il mais o il frumento.
Il paesaggio esterno alla cascina San Maiolo permette di vedere tra le sue risaie anche aree di bosco con querce, sorbi, carpini, gelsi (una volta tutte le risaie avevano filari di gelsi lungo gli argini perchè le foglie servivano in un particolare allevamento praticato da molto tempo, quello del baco da seta) e abusti con rose canine, e anche zone umide e un lungo filare di grosse querce, ambienti dove garzette, germani reali e aironi cenerini possono nidificare e riprodursi.

Ho anticipato un poco l'orario previsto per l'arrivo di un giovane staffettista con la fiaccola e ho incontrato il proprietario, il signor Tromellini, che gentilmente mi ha illustrato l'azienda, mi ha raccontato la sua storia e mi ha aperto la cappella di San Maiolo, e ho potuto scattare le foto che vedete. Ho capito dalle sue spiegazioni il motivo del nome della cascina: sembra che gli antichi proprietari delle terre su cui sorge l'azienda fossero i Conti di Pombia, originari anticamente delle terre in cui visse San Maiolo, la Provenza, al quale erano devoti tanto da dare il nome a una dei loro fondi. L'allora Comitato di Pombia era la sede del potere carolingio su una vasta regione, compreso Novara e le sue terre.
Facciamo un poco di storia. Carlo (nato il 2 aprile 742 e morto ad Aquisgrana il 28 gennaio 814), era figlio di Pipino il Breve, e fu re dei Franchi dal 768; poi aveva conquistato, tra il 773 e il 774, Pavia, allora capitale del Regno longobardo, che per quei tempi voleva dire anche Regno d'Italia. Deposto Desiderio, l'ultimo re dei Longobardi, Carlo si incorona come sovrano delle terre longobarde il 10 luglio 774 cingendo la Corona Ferrea a Pavia, con la formula: Karolus gratia Dei rex Francorum ac Langobardorum ac patricius Romanorum, e l'anno successivo scende a Roma per la prima volta, venendo acclamato dal clero e dal popolo come Re dei Franchi, dei Longobardi e Patrizio dei Romani. Venticinque anni dopo, aiutando papa Leone Terzo contro i suoi nemici, inaspettatamente viene incoronato dal papa nell'anno 800, alla fine della messa di Natale, Imperatore dei Romani e, durante la cerimonia, il papa unge il capo di Carlo, lo incorona con le parole Carlo Augusto, incoronato da Dio, grande e pacifico imperatore, vita e vittoria! Il titolo Imperatore del Romano Impero fu coniato solo nell'802, mentre il primo ad aggiungere il termine Sacro al consueto Impero Romano fu Federico Barbarossa in una lettera del 1157.
Nel riordino politico dei territori conquistati, emerse l'esigenza di dare un assetto amministrativo ai territori di cui i franchi avevano assunto il controllo. Vennero in questo modo istituiti anche in Italia i comitati e le marche, a capo dei quali furono posti funzionari pubblici denominati rispettivamente conti e marchesi e tra i conti dei nostri territori vi furono quelli di Lomello, di Pombia e di Biandrate, affermatesi in un periodo post-carolingio in comitati di nuova origine.
I Conti di Pombia legarono la loro ascesa sociale agli stretti rapporti intrattenuti con i sovrani sassoni, estendendo la loro influenza dall'originaria area del comitato, posto tra Sesia e Ticino, alle terre del Monferrato, del Milanese, del Piacentino e del Modenese. La famiglia dei Conti di Pombia ha avuto probabilmente origine da un gruppo parentale originario della zona di Vienne in Provenza, giunto in Italia nella prima parte del X secolo durante il regno di Ugo di Provenza, e stabilitosi nel territorio di Caltignaga. Ildeprando, morto prima del 1013, costituisce per gli storici il capostipite certo dei Conti di Pombia.
Ed ecco il legame con Maiolo, anche lui nato in Provenza (oggi nel dipartimento francese delle Alpes de Haute-Provence), precisamente a Valensole, tra il 906 e il 910. Per estrazione sociale era nobile e apparteneva alla classe dirigente di uno stato, la Borgogna, emerso dal frazionamento politico e territoriale dell'impero di Carlo Magno. Tutti questi fatti spiegano anche il nome della cascina San Maiolo, sorta sui terreni dei Conti di Pombia che veneravano come un grande santo il quarto abate di Cluny.

Come si vede sia l'esterno sia l'interno della cappella dedicata a San Maiolo sono abbastanza recenti e non certamente molto antichi: la cappella risulta molto semplice con poche decorazioni liturgiche, una icona a stampa con San Maiolo, una croce e sei candelabri, una lampada accesa, un piccolo altare in legno e pochi banchi per la preghiera, di pregio invece una preziosa reliquia di Maiolo.
Appena in tempo di uscire dalla cappella che arriva il comitato organizzatore della staffetta e subito si preparano le vivande, salumi, pane e bottiglie di vino e di acqua per rifocillare i partecipanti all'evento che spuntano, da lontano, davanti alla Cascinetta. Il tempo di scattare le foto di rito e sorseggiare un poco di acqua e riparto in auto per arrivare a Veveri e attendere l'ultimo atleta con la fiaccola per accendere il grosso bracere davanti alla chiesa dove attendono anche don Silvio e don Franco Tassone, parroco della chiesa pavese, che dopo l'arrivo dell'ultimo ragazzo celebreranno la messa.

Nella serata dello stesso sabato si svolge poi la solenne processione di San Maiolo. Anche in questo caso un'altra innovazione di don Silvio, che viene accompagnato da don Franco Tassone, il parroco pavese, e dal cappellano della Base dell'Aeronautica Militare di Veveri, ma anche dalle musiche del Corpo Bandistico Verde-Azzurra di Galliate, e non basta: la statua di San Maiolo viene posata su un carro, trainato da un bianco cavallo e da un giovane acconciato da angelo con tanto di ali sulla schiena. Percorso lungo dal piazzale della chiesa, via Verbano, via Russi, via santa Caterina, via Vignale, via Lavizzari, via Rossetti, via Tricotti, via Cameri, via Lampugnani, via Malvira, via Verbano e ritorno in chiesa, il tutto senza soste se non quelle tecniche per il povero cavallo.






10 febbraio: Giorno del ricordo

Il Giorno del ricordo fu istituito con la legge n. 92 del 30 marzo 2004. Nel testo di legge si leggono le motivazioni: "La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale Giorno del ricordo al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della pi� complessa vicenda del confine orientale".

Alla fine della Seconda guerra mondiale, mentre l'Italia veniva liberata dall'occupazione nazista, a Trieste e nell'Istria si � vissuto l'inizio di una tragedia: la "liberazione" avvenne ad opera dell'esercito comunista jugoslavo agli ordini del maresciallo Tito. 350.000 italiani abitanti dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia dovettero scappare ed abbandonare la loro terra, le case, il lavoro, gli amici e gli affetti incalzati dalle bande armate jugoslave. Decine di migliaia furono uccisi nelle foibe o nei campi di concentramento titini.

Trieste, dopo aver subito pi� di un mese di occupazione jugoslava, visse per 9 anni sotto il controllo di un Governo Militare Alleato, in attesa che le diplomazie decidessero la sua sorte. Solo nell'ottobre del 1954 l'Italia prese il pieno controllo di Trieste, lasciando l'Istria all'amministrazione jugoslava. Almeno diecimila persone, negli anni drammatici a cavallo del 1945, sono state torturate e uccise a Trieste e nell'Istria controllata dai partigiani comunisti jugoslavi di Tito. In gran parte vennero gettate (molte ancora vive) dentro le voragini naturali disseminate sull'altipiano del Carso, le "foibe".

La parola "foiba" � una dialettizzazione del latino "fovea" che significa fossa, solitamente di origine naturale, simile ad una grotta, con ingresso a strapiombo e forma di cono. Sono diffuse soprattutto nella provincia di Trieste, nelle zone della Slovenia nonch� in molte zone dell'Istria e della Dalmazia. L'infoibamento" ebbe inizio nel 1943, quando l'ex dittatore jugoslavo Tito occup� le regioni dell'Istria, Quarnaro e Dalmazia ed attraverso il suo esercito mise in atto una vera e propria pulizia etnica nei confronti degli italiani che abitavano dette regioni. Migliaia di italiani, uomini, donne e bambini, vennero barbaramente uccisi ed i loro corpi occultati nelle foibe, altri vennero invece deportati in campi di concentramento in Jugoslavia ed in seguito uccisi.

Negli anni successivi alla guerra, questo fenomeno venne nascosto all'opinione pubblica italiana ed internazionale, per la necessit� di mantenere buone relazioni diplomatiche con la Jugoslavia e per non accrescere la tensione negli anni della Guerra Fredda. Per quanto riguarda il numero delle vittime invece, non esistono cifre ufficiali, nonostante numerose siano state le commissioni incaricate a tal fine, sia dai vari Governi italiani nonch� da alcuni organi internazionali. Tuttavia dalle fosse finora scoperte sul territorio italiano, si contano 7.000 cadaveri circa, ai quali vanno aggiunti quelli sepolti nelle foibe in territorio jugoslavo e quelli dei campi di concentramento. In definitiva si stima che le vittime totali possano essere 10.000/15.000.

La data del 10 febbraio rievoca la data della firma del Trattato di Pace di Parigi del 1947, col quale venivano assegnati alla Jugoslavia i territori ex italiani occupati dall'Armata di Liberazione Popolare di Tito durante la guerra. Il primo Giorno del Ricordo � stato celebrato il 10 febbraio del 2005.

27 gennaio: Il giorno della memoria,

Immagini di Veveri viste dal satellite Landsat/Copernicus.

Altre immagini satellitari di Veveri.