Parchi, Riserve, Oasi naturali

Parchi naturali di interesse regionale

Lagoni di Mercurago

da http://www.parchilagomaggiore.it/lagoni.htm
Un mosaico di boschi, pascoli e zone umide
Poco lontano dal centro di Arona, sulle colline moreniche che circondano il Lago Maggiore dalla parte piemontese, si trova un'area naturale che comprende le torbiere di Mercurago, alcuni pascoli dedicati all'allevamento dei cavalli purosangue e molti appezzamenti boschivi. Nell'area sono stati rinvenuti insediamenti preistorici, risalenti all'eta' del bronzo, e alcune domus romane. Quest'area e' protetta dal 1980, quando, su iniziativa popolare, venne istituito il Parco dei Lagoni di Mercurago.

Oggi i lagoni sono gestiti, insieme alle Riserve di Fondotoce e dei canneti di Dormelletto, dall'Ente Parchi del Lago Maggiore. Nel parco esistono sentieri tematici, tracciati per consentire ai visitatori di apprezzare vari aspetti della natura (come i boschi e le zone umide) e del lavoro dell'uomo (dall'archeologia alle attivita' produttive).

L'area archeologica dei Lagoni di Mercurago rappresenta un eccezionale campo di indagine per gli studi sulla Preistoria del Piemonte. I ricercatori non effettuarono veri e propri scavi, ma si limitarono a raccogliere o a farsi consegnare i reperti venuti alla luce nel corso dei lavori di estrazione della torba. Basandosi sulle prime osservazioni sui siti lacustri (palafitte) elvetici e sulle teorie elaborate nel frattempo per spiegare la collocazione dei resti delle strutture a quote al di sotto del livello dell'acqua, il Gastaldi, vero fondatore della Paletnologia piemontese, elaboro' l'immagine di Mercurago come prima stazione palafitticola del Piemonte; raccolse una piccola collezione di oggetti che colloco' nel Museo Civico di Torino, da cui fu trasferita dopo la sua morte al Regio Museo di Antichita', e si preoccupo' anche di effettuare il calco in gesso (utilizzando l'impronta nel terreno torboso) di quei reperti conservati dalle particolari condizioni ambientali anaerobiche delle torbiere, come le ruote o le piroghe in legno, che non potevano essere trattati e conservati con le metodologie di restauro note all'epoca e quindi si sbriciolarono disidratandosi poco dopo la loro scoperta.

Sulla base delle conoscenze attuali la stazione di Mercurago fu attiva tra una fase avanzata dell'Antica e la Tarda eta' del Bronzo (XVIII-XIII sec. a.C.). La collocazione del sito sfruttava una particolare condizione climatica legata a questo momento della Preistoria dell'Italia settentrionale, in cui l'abbassamento dell'acqua lasciava liberi i bassi terrazzi perilacustri, molto fertili anche per un'agricoltura non specializzata a zappa e periodicamente arricchiti dai limi trasportati da brevi fenomeni occasionali di innalzamento del livello.

L'antico abitato Le abitazioni non erano costruite sull'acqua, ma appoggiate sul terreno molle e sottoposto a periodiche alluvioni sul bordo del lago. Era stata a questo scopo costruita preliminarmente un'ampia struttura di bonifica con una pavimentazione di pali, tronchi e tavole con pietre e fascine, per ottenere un piano di calpestio compatto e solido; e' probabile che tale struttura fosse semplicemente appoggiata sul suolo fangoso e non costituisse i resti di una piattaforma sopraelevata.

Il complesso dei reperti raccolti dal Gastaldi ci fornisce un quadro estremamente lacunoso sulla vita quotidiana di questa piccola comunita' preistorica, anche perché non furono allora conservati resti come le ossa degli animali allevati o cacciati ed i semi carbonizzati dei vegetali coltivati, che avrebbero potuto fornirci un quadro organico ed articolato sulla gamma delle risorse alimentari utilizzate.

I materiali rinvenuti I pochi reperti metallici sono costituiti sia da oggetti di ornamento, come gli spilloni in bronzo utilizzati per fissare le vesti maschili e femminili, sia da piccole armi, come una lama di pugnale ed un pugnaletto in bronzo. La ceramica mostra sia vasellame tipicamente usato per bere, come una tazza con ansa ad ascia, sia un piccolo vaso con coperchio, probabile contenitore di unguenti o comunque sostanze grasse, sia grandi vasi a due anse e a forma di secchio, trovati originariamente con resti di corda in fibra vegetale ed utilizzati probabilmente per attingere l'acqua; non mancano oggetti tipici dello strumentario femminile, come i pesi discoidali da fuso in terracotta (fusaiole).

Piu' illuminante sulla vita di questo gruppo umano il repertorio ligneo: accanto ad un attingitoio in legno non dissimile da oggetti ben noti fino ai nostri giorni nella cultura contadina ed utilizzati per il latte appena munto, sono particolarmente note le piroghe e le ruote le cui caratteristiche ci sono conservate dai disegni e dai calchi originari. Le ruote, originariamente tre, sono riferibili a due tipi: il primo sembra adatto ad un carro pesante da trasporto mentre il secondo, a raggi, e' probabilmente da attribuire ad un carro leggero tirato da cavalli, cioe' un carro da guerra, che si diffonde in Italia Settentrionale con l'inizio della Media eta' del Bronzo (1600 a.C. circa).

Ci appare quindi l'immagine di una comunita' non chiusa in un ristretto ambito di economia di sussistenza, ma organizzata gia' con ruoli sociali che sottolineano posizioni di rilievo attraverso beni di prestigio. Le leggere piroghe non devono d'altra parte essere considerate come legate solo ad un'attivita' di caccia/pesca in un raggio ristretto intorno all'abitato, ma veri strumenti di commercio; la prova ci viene dall'abbondante presenza a Mercurago di piccoli bottoni in argilla cotta a temperatura tale da diventare vetrosa in superficie e somigliante ad una pasta vitrea, colorata con sali di rame per ottenere una tonalita' verde/blu (fayence). L'abbandono del villaggio

L'abbandono dell'abitato del Lagone avvenne probabilmente nella Tarda eta' del Bronzo (XIII sec. a. C.), forse per un lento mutare della situazione climatica ed ambientale, ma soprattutto per un progressivo avvicinamento degli insediamenti al lago ed alla via di traffico costiera, per un controllo degli intensi commerci lungo l'asse Ticino-Verbano. E' in questo momento che inizia, infatti, la presenza di insediamenti sul sito dell'attuale Rocca di Arona, che costituira' i piu' notevole polo di accentramento demografico dell'area nella protostoria.

Non mancano sporadiche tracce all'interno del Parco di frequentazioni piu' tarde, in parte riconoscibili anche tra i materiali raccolti ai Lagoni dal Gastaldi, riferibili soprattutto ad insediamenti di piccole dimensioni dell'eta' del Ferro. Una scoperta recente di estremo interesse, effettuata negli anni 1971-1972 da appassionati locali di Borgosesia ed Arona che operavano in collaborazione con la Soprintendenza, ha inoltre permesso di localizzare nelle immediate adiacenze dello specchio d'acqua una piccola necropoli della cultura di Golasecca, databile tra la fine del VI sec. a.C. e gli inizi del successivo, costituita da tombe a cremazione differenziate per rango e protette da lastre di pietra, con deposizioni delle ceneri non in un urna, ma sul fondo della fossa, come attestato a S. Bernardino di Briona. I corredi comprendono vasi fittili ed ornamenti in bronzo (fibule, anellini, ganci di cintura) ben noti e confrontabili con gli analoghi rinvenimenti della zona di Castelletto Ticino.




Lame del Sesia

http://www.fausernet.novara.it/~provinci/bandb/weldx.htm Da qualche anno, a partire dalla fine di febbraio sull’isolone di Oldenigo, cuore della riserva, è possibile avvistare colonie di Ibis Sacri. L’isolone, lungo otto chilometri e soggetto a continui mutamenti determinati dalle correnti del fiume, è considerato una fra le più popolose garzaie d’Italia: oltre 165 le specie di uccelli censite.

Alla Provincia di Novara spetta una zona (45 ettari) del Parco delle Lame del Sesia (di complessivi 946 ettari), a San Nazzaro. Il Parco e le sue riserve assumono particolare importanza per la protezione della fauna: sono circa 170 le specie di uccelli censite, una sessantina nidificanti tra le quali spiccano gli ardeidi che nidificano nelle garzaie (airone cinerino, nitticora, garzetta, sgarza ciuffetto)









Monte Fenera

È invece di 3378 ettari (di cui 1577 in Provincia di Novara) il Parco Naturale del Monte Fenera che territorialmente è compreso tra i Comuni vercellesi di Borgosesia e Valduggia, e i novaresi Grignasco, Prato Sesia, Cavallirio e Boca. È noto per i ritrovamenti preistorici (dal dente dell’uomo di Neanderthal a tracce dell’Orso delle caverne), per le sue grotte (visitabili previo accordo con l’Ente parco), per le 800 specie botaniche e soprattutto per la cicogna nera che è tornata a nidificare sul Fenera, unico luogo in Italia.


Valle del Ticino




Riserve naturali di interesse regionale

Canneti di Dormelletto

http://www.parks.it/parchi.lago.maggiore/par.html L'area rappresenta uno degli ultimi esempi nel novarese, con quelli della Piana di Fondo Toce, di zona di transizione tra terra ed acqua a prevalente vegetazione spontanea, costituita da canneti. L'importanza dell'intervento è da ascriversi alla fondamentale funzione ecologica svolta dall'ambiente "canneto" in quanto a regimazione delle acque, depurazione e assorbimento equilibrato delle sostanze, anche nocive, introdotte nel corpo dell'acqua. Particolarmente importante, risulta poi essere il fragmineto e le limitrofe zone boscate, per la costituzione di un habitat fondamentale per la nidificazione e lo svernamento di numerose specie ornitologiche.





Le Baragge

Va poi segnalata la Riserva Naturale Orientata delle Baragge, zona di brughiera di 2875 ettari (1153 in Provincia di Novara) che interessa i Comuni di Cavaglio d’Agogna, Cavallirio, Cureggio, Fontaneto d’Agogna, Ghemme, Romagnano Sesia





Palude di Casalbeltrame

http://www.fausernet.novara.it/~provinci/bandb/weldx.htm
www.lamedelsesia.vc.it/Pr_ZoomPalude.asp?Cod=2
Casalbeltrame – la Palude La riserva, istituita nel 1986, è un’area coltivata a risaie interrotte da filari di pioppo. La scansione geometrica dei campi è animata, da alcuni anni, anche dalla presenza di folti stormi di gabbiani che svernano alle nostre latitudini. Sono tornati anche gli aironi cinerini, riconoscibili per il loro incedere maestoso, dopo essere stati sterminati a migliaia nell’800 quando era diffuso il commercio di penne impiegate nella confezione di accessori alla moda.

La Palude di Casalbeltrame è una riserva naturale speciale di 657 ettari, che insiste sui territori dei Comuni di Casalbeltrame, Biandrate, Casalino. È l’ultimo acquitrino del Novarese, dotato di torri d’osservazione e camminamenti, dove si affollano marzaiole, germani reali, beccaccini, anatre, aironi e il rarissimo falco pescatore.




Riserve speciali di interesse regionale

Colle della Torre di Buccione

Tra Orta e Gozzano si trova invece la Riserva Naturale Speciale del Colle della Torre di Buccione, 30 ettari di bosco con sentieri segnalati e percorribili, che ha al suo centro la torre medievale detta di Buccione, non accessibile. Sita nelle vicinanze del Monte Mesma e prospiciente il Lago d'Orta, il Colle della Torre di Buccione rappresenta un aspetto paesaggistico del lago particolarmente significativo anche dal punto di vista boschivo, ed ha alla sommità una torre fortificata, di notevole pregio storico-architettonico, ultimo baluardo di un castello citato su documenti del 1200. Sulla torre di Buccione era posta la campana per la segnalazione di pericolo: l'ultimo esemplare, del 1600, è oggi custodito nel giardino del municipio di Orta.

L'ambiente naturale Il colle, in passato sede di attività estrattiva per la presenza di porfido, si presenta oggi ricoperto da un fitto bosco di castagno che ha colonizzato i ripidi versanti della Riserva che si estende per 15 ettari.

Situata su un colle che domina la parte meridionale del lago d'Orta, la torre di Buccione faceva parte di un avamposto militare di più vaste dimensioni di cui restano poche tracce. Il primo documento che parla del "Castello" di Buccione risale al 1200, mentre controverse sono le opinioni sulle sue origini, avvenute tra il X e il XII secolo. La torre, alta 23 metri, aveva funzioni di segnalazione, ed è suddivisa internamente in tre impalcati di legno, che ne permettevano l'abitazione da parte della guarnigione


Monte Mesma

Analoga è la Riserva Naturale Speciale del Monte Mesma, benché sia di dimensioni maggiori, circa 52 ettari. Si tratta di un colle sopra Ameno, caratterizzato da due Vie Crucis e da percorsi lungo il torrente Agogna che portano a un altro convento francescano.

Alla sommità del monte, con una splendida vista sul Lago d'Orta, sorge un complesso monumentale costituito da un convento, edificato nel 1600 sui resti di un castello trecentesco, e da alcune cappelle ubicate lungo un percorso processionale.

La zona presenta inoltre notevole interesse archeologico con reperti di origine celtica e materiale dell' epoca gallica e romano-imperiale. Le pendici del monte sono ricche di vegetazione ed in particolare di boschi di castagno e di quercia, che necessitano di interventi di riqualificazione a fini produttivi e paesaggistici. Particolarmente interessante la presenza, grazie all'influenza climatica del vicino lago, di molte specie sempreverdi quali agrifoglio, bosso, lauroceraso, tasso.

L'ambiente naturale La collina di Mesma raggiunge i 576 metri di altitudine, è situata nel territorio del Comune di Ameno in provincia di Novara. Coltivata un tempo soprattutto con filari di vite,oggi la collina di Mesma è ricoperta quasi interamente da boschi di castagno, tranne la parte adiacente al convento dove i frati francescani coltivano ancora con cura prati ed orti. Interessante dal punto di vista naturalistico è la base della collina dove scorrono il rio Membra ed il torrente Agogna per la ricchezza di essenze vegetali.

Il Monte Mesma, colle che raggiunge i 576 metri di altitudine, è situato nel territorio del Comune di Ameno in provincia di Novara. Sulla sommità del colle si elevano la chiesa ed il convento seicenteschi, davanti ai quali si apre un sagrato panoramico con un tiglio plurisecolare, da cui si gode una suggestiva vista sul Lago d'Orta e, in lontananza, sul massiccio del Monte Rosa.








Sacro Monte di Orta

La Riserva Naturale Speciale del Sacro Monte di Orta è caratterizzata da un percorso devozionale di venti cappelle, edificate a partire dal ’500 che ricordano la vita di San Francesco. Il percorso è inserito in 13 ettari boschivi, che occupano la sommità del colle, dove sorge un convento francescano.

Sacro Monte di San Francesco di Orta San Giulio (1590) Il Sacro Monte d'Orta è un percorso devozionale, costituito da venti cappelle affrescate, completate da gruppi statuari di grandezza naturale in terracotta che illustrano la vita di San Francesco d'Assisi. I lavori di costruzione del complesso religioso iniziarono nel 1590 grazie all'iniziativa congiunta della comunità ortese e dell'abate novarese Amico Canobio, e di altre volontà. I lavori del cantiere del Sacro Monte d'Orta, in varie fasi, si protrassero sino alla fine del Settecento.

Nella prima fase costruttiva le soluzioni architettoniche prescelte fanno riferimento a modelli tardo rinascimentali: attivi in questa fase, tra gli altri, lo scultore Cristoforo Prestinari, i pittori Giovanni Battista e Giovanni Mauro della Rovere e il Morazzone. Dalla metà del Seicento si fa strada un profondo cambiamento nel modo di intendere il percorso sacro che viene riproposto in chiave di sfolgorante spettacolo barocco: protagonisti in questa fase sono lo scultore Dionigi Bussola ed i pittori fratelli Nuvolone.

A fine secolo il pittore lombardo Stefano Maria Legnani introduce al Sacro Monte il nuovo gusto rococò che contraddistingue anche gli interventi settecenteschi, sia per gli affreschi che per le sculture realizzate dal Beretta. A fine settecento si chiude definitivamente la storia del cantiere del Monte con la costruzione della neoclassica Cappella Nuova, rimasta incompiuta. The Sacro Monte dedicated to the life of St Francis of Assisi was built on a cliff overlooking the village of Orta. It was built at the villager?s request in 1590 with the support of Bishop Bescap?. Padre Cleto da Castelletto Ticino was the designer and laid out a wonderful route that intermingled art, nature and the surrounding landscape. The route takes in 21 chapels that face on to the lake and the evocative island of San Giulio. Among the artistic contributors were; Dionigi Bussola, Cristoforo Prestinari, Giovanni and Melchiorre d?Enrico as sculptors, the Nuvolone brothers, il Legnanino, Antonio Maria Crespi and il Morazzone painted the frescoes.

http://www.lagodorta.com/

Situato tra il verde dei boschi sulla sommità di un colle che domina il lago d'Orta, il Sacro Monte conta 21 cappelle edificate tra la fine del sedicesimo e la fine del diciottesimo secolo con affreschi e sculture in terra cotta sulla vita di San Francesco.

Nel 1590, con la costruzione del convento dei frati cappuccini voluta dall'abate novarese Amico Canobio, iniziò a prendere forma l'idea votata dalla comunità di Orta nel 1583 di far diventare il monte di S.Nicolao un Sacro Monte. Questo monte ospitava già l'antica chiesa dove si venerava la statua della Madonna della Pietà.

Il padre cappuccino Cleto da Castelletto Ticino fu l'autore del disegno originario del monte. In quel periodo la Chiesa, in piena Controriforma, stava riflettendo sul fatto che la maggioranza dei fedeli non sapeva leggere e le immagini erano un mezzo per la divulgazione delle Sacre Scritture. Il vescovo di Novara Carlo Bascapè (1593-1615), coinvolto in questa riflessione, indicò le scene da illustrare nelle cappelle dedicate alla vita e alle opere di San Francesco.

Se nei primi anni le architetture sono fortemente influenzate dai modelli del Sacro Monte di Varallo, verso la metà del Seicento si fa riferimento al Sacro Monte di Varese e il percorso sacro viene riproposto in chiave barocca.

Architetture, statue e affreschi furono realizzati con tecniche e materiali tipici della tradizione e dell'economia locale. All'interno del Sacro Monte la vegetazione è parte integrante dell'itinerario religioso. Essa è curata in modo da far risaltare sia le architetture che lo spettacolare paesaggio del lago sottostante. La zona circostante al Sacro Monte è invece costituita da una zona boscosa dove però si possono scorgere le tracce degli originari terrazzamenti per le coltivazioni.

L'itinerario di visita delle 20 cappelle ha inizio con un arco d'ingresso, raggiungibile da un sentiero pedonale che parte dalla piazza di Orta. Se le opere pittoriche e plastiche costituiscono un vero patrimonio d'arte e furono realizzate da valenti artisti dell'epoca, altrettanto interessanti sono gli aspetti naturali.

Il promontorio su cui sorge il Sacro Monte d'Orta è costituito da rocce che sono state modellate dai ghiacciai quaternari. La flora è caratterizzata da specie sempreverdi e da alcune essenze tipicamente montane quali il mirtillo nero. Fra le specie arboree meritano un cenno particolare il pino silvestre, il tasso, il faggio, l'agrifoglio, oltre ad un bel viale di carpini secolari affacciato sul lago.

http://www.parks.it/parco.sacro.monte.orta/par.html
  • Gestore: Ente di gestione delle Riserve Speciali del Sacro Monte di Orta, del Monte Mesma e del Colle della Torre di Buccione
  • Sede: Via Sacro Monte - 28016 Orta San Giulio (NO)
  • Superficie: 94,64 ha (S.M. di Orta 16,15 ha - Monte Mesma 51,77 ha - Colle della Torre di Buccione 29,72 ha)
  • Provincia: Novara
  • Istituzione: 1980 (S.M. di Orta) - 1993 (Monte Mesma e Colle della Torre di Buccione)

Situate sulle colline che sovrastano le sponda orientale del lago d'Orta, le tre aree protette sono state istituite dalla Regione Piemonte al fine di tutelare, conservare e valorizzare il patrimonio storico, artistico, religioso, gli aspetti ambientali e naturalistici e di promuoverne la conoscenza e la fruizione.

Sono gestite da un Ente Strumentale della Regione in cui sono rappresentati i comuni, le associazioni ambientali e le comunità religiose presenti. Le Riserve sorgono in aree boscate e risultano importanti per la presenza al loro interno di edifici storici di notevole importanza e suggestione: al Sacro Monte il percorso devozionale delle Cappelle e la Chiesa di San Nicolao, al Monte Mesma il seicentesco convento francescano e la Chiesa e alla Torre di Buccione i resti di un castello dell'XI/XII secolo.

Il Sacro Monte d'Orta è inserito nel Patrimonio Mondiale dell'Umanità tutelato dall'UNESCO (World Heritage List) perchè "rappresenta un'integrazione di successo tra architettura ed arti decorative in un paesaggio di grande bellezza e per l'alto valore spirituale raggiunto in un momento critico della storia della Chiesa Cattolica Romana".

Il Sacro Monte d'Orta è posto a circa 400 metri di altitudine in magnifica posizione panoramica sull'abitato di Orta e sul lago omonimo. Il territorio della Riserva è di 13 ettari suddivisi in due zone distinte: le pendici della collina in cui prevalgono i boschi di latifoglie e l'area monumentale in cui la vegetazione è da sempre curata come giardino storico.

Già l'autore del progetto del Sacro Monte studiò, non solo il percorso tra le cappelle ma anche l'ambiente e la vegetazione: si è quindi creato quel singolare rapporto tra la natura, lo spettacolo del lago, il verde e le cappelle che tuttora contraddistingue il Sacro Monte.

Il complesso monumentale
Il Sacro Monte d'Orta è un percorso devozionale, costituito da venti cappelle affrescate, completate da gruppi statuari di grandezza naturale in terracotta che illustrano la vita di San Francesco d'Assisi. I lavori di costruzione del complesso religioso iniziarono nel 1590 grazie all'iniziativa congiunta della comunità ortese e dell'abate novarese Amico Canobio, e di altre volontà.

I lavori del cantiere del Sacro Monte d'Orta, in varie fasi, si protrassero sino alla fine del Settecento.

Nella prima fase costruttiva le soluzioni architettoniche prescelte fanno riferimento a modelli tardo rinascimentali: attivi in questa fase, tra gli altri, lo scultore Cristoforo Prestinari, i pittori Giovanni Battista e Giovanni Mauro della Rovere e il Morazzone. Essi realizzarono gruppi scultorei intimi e raccolti, definiti con sobrio realismo e raffigurazioni pittoriche descrittive chiare, ma anche eleganti ed aggiornate alla moda dell'epoca.

Dalla metà del Seicento si fa strada un profondo cambiamento nel modo di intendere il percorso sacro che viene riproposto in chiave di sfolgorante spettacolo barocco: protagonisti in questa fase sono lo scultore Dionigi Bussola ed i pittori fratelli Nuvolone.

A fine secolo il pittore lombardo Stefano Maria Legnani introduce al Sacro Monte il nuovo gusto rococò che contraddistingue anche gli interventi settecenteschi, sia per gli affreschi che per le sculture realizzate dal Beretta. A fine settecento si chiude definitivamente la storia del cantiere del Monte con la costruzione della neoclassica Cappella Nuova, rimasta incompiuta.

Oltre agli artisti, apprezzabile il contributo di validi artigiani locali che hanno lasciato numerose testimonianze della loro arte laboriosa creando porte, griglie e grate in legno e ferro battuto di splendida fattura.

Cappella I Nascita di San Francesco
Cappella II Il Crocifisso parla a San Francesco nella Chiesa di San Damiano
Cappella III San Francesco rinuncia ai suoi beni nelle mani del vescovo di Assisi
Cappella IV San Francesco ascolta la Messa
Cappella V Vestizione dei primi seguaci di San Francesco
Cappella VI San Francesco invia i primi discepoli a predicare. Primi miracoli compiuti da essi.
Cappella VII L'approvazione della regola francescana da parte del Papa Innocenzo III
Cappella VIII San Francesco appare ai frati su di un carro di fuoco
Cappella IX Vestizione di Santa Chiara
Cappella X La vittoria di San Francesco sulle tentazioni
Cappella XI San Francesco ottiene da Gesù il privilegio dell'indulgenza della Porziuncola
Cappella XII Cristo approva la regola francescana
Cappella XIII San Francesco, per umiltà, si fa condurre nudo per le vie di Assisi
Cappella XIV San Francesco davanti al sultano d'Egitto
Cappella XV San Francesco riceve le stigmate alla Verna
Cappella XVI San Francesco torna d Assisi dalla Verna prima di morire
Cappella XVII Morte di San Francesco
Cappella XVIII Nicolò III, un Vescovo ed il segretario sulla tomba del Santo
Cappella XIX I miracoli sul sepolcro del Santo
Cappella XX La canonizzazione di San Francesco
Cappella Nuova
Chiesa di San Nicolao


Oasi WWF

Bosco dei Preti

www.fausernet.novara.it/.../bosco/gerbidi.html
Il Bosco dei Preti si trova un poco all'interno, sul lato destro della strada provinciale che da Carpignano porta a Ghislarengo; racchiude in sè elementi di particolare pregio sotto l'aspetto naturalistico.

Al suo interno, estesa su una superficie di 12 ettari, si trova l'oasi WWF. L'oasi ha una composizione vegetale con una copertura del 25% di bosco d'alto fusto e vi si trovano prevalentemente alberi di farnie. La parte restante va suddivisa tra gerbido e ceduo di robinia. La fascia marginale, posta verso est, è delimitata da un fosso irrigatore che dà origine ad un piccolo stagno. Qui la vegetazione d'alto fusto è composta da ontani neri con qualche esemplare di ontano bianco.

Da una mappa a colori datata 1723, conservata presso il Comune di Carpignano, riguardante controversie territoriali di confine tra Carpignano e Ghislarengo, appare una località, denominata da entrambe le parti, "GHIAIETO BOSCOSO DE PRETI". In pratica questo luogo era un isolone circondato da due rami del fiume Sesia: il ramo del Fortino o Biraga verso Ghislarengo, il ramo della Cavalla o di S.Agata verso Carpignano.

Questo isolone veniva sicuramente inondato dalle periodiche piene del fiume.

In altre mappe successive, dal suo letto, nei pressi del nostro bosco, appaiono due sorgenti che danno vita ad altrettanti stagni molto estesi: stagno di "MONFOSSATO", ora completamente scomparso, e stagno di "S.AGATA" o "AVETTO", trasformato recentemente in laghetto per la pesca sportiva.

Il nome "BOSCO DEI PRETI", comparso nei documenti all' inizio del diciottesimo secolo, si può ipotizzare abbia avuto origine il secolo prima, forse per indicare parte di questa località, di proprietà Comunale, gestita in affitto dal "Capitolo di Vigevano" (un istituto religioso proprietario della roggia Biraga), per meglio controllare i vicini imbocchi della roggia, posti nell'alveo del fiume e per avere legname sul posto, da usare per la manutenzione degli imbocchi stessi.

Oasi di Bellinzago

www.comune.bellinzago.no.it/compaginagt.asp?i...
Nel Comune di Bellinzago Novarese è stato individuato e segnalato un importante sito di presenza e riproduzione del "Pelobates fuscus insubricus", un piccolo rospo endemico divenuto estremamente raro. La località in questione ospita oggi l'oasi WWF "Baraggia di Bellinzago" ed è stata inserita nell'ambito del progetto LIFE NATURA della Comunità Europea, assumendo lo status di Sito di Importanza Comunitaria.

L'Oasi WWF di Bellinzago è diventata così un luogo di interesse naturalistico a livello europeo; i principali obiettivi che il WWF persegue nella gestione dell'area sono la conservazione del Pelobate fosco e degli anfibi in generale e la sensibilizzazione nei confronti della piccola fauna.

Il Pelobate Fosco Italiano (Pelobates Fuscus Insubricus) un piccolo anfibio, conosciuto anche come rospo del Cornalia o rospo dell'aglio o dalla vanga, data l'abitudine di scavare con le zampe posteriori una cavità dove interrarsi e dove passa la maggior parte del suo tempo, in attesa delle piogge. Notturno, si riproduce nelle risaie allagate del territorio novarese, utilizzando per l'occazsione anche piccoli canali, stagni e lanche. Come tutti gli anfibi, si nutre di insetti, molluschi e lombrichi. Caratteristico il metodo di difesa: spalanca la bocca emettendo uno strillo e una sostanza odorosa d'aglio.

Un mosaico di ambienti di piccole dimensioni che permettono un'ampia diversificazione di fauna e flora: sono presenti alcuni specchi d'acqua naturalizzati che consentono la sosta di numerose specie di uccelli provenienti dalle vicine risaie del novarese. L'area è impreziosita dalla presenza di una porzione di brughiera (o baraggia) con erica (o brugo), Calluna vulgaris, betulla e pioppo tremulo; è il residuo di una componente del paesaggio un tempo più diffusa.

L'Oasi è stata istituita per la tutela del Pelobate fosco e del suo habitat. Il Pelobate fosco (Pelobates fuscus insubricus) è un piccolo rospo inserito nella lista degli anfibi europei maggiormente minacciati di estinzione. Le zone umide ospitano altre 8 specie di anfibi, tra cui l'endemica rana di Lataste. Per quanto riguarda l'avifauna, oltre ad anatidi e ardeidi che frequentano gli stagni, l'Oasi è rifugio di numerose specie tipiche dei boschi planiziali e della brughiera, tra cui l'Ortolano, lo Zigolo giallo e occasionalmente l'Albanella minore e la Cicogna bianca. Cespugli e siepi ospitano una diversificata popolazione di rettili, insetti e micromammiferi.

Altre aree protette

Agogna Morta

www.pro-natura.it/agogna.html
http://www.volambiente.it/approfondimenti/oasi2.php
Si tratta di un'area umida che comprende la lanca omonima, meandro abbandonato del torrente Agogna in seguito a opere idrauliche sull'alveo realizzate alla metà degli anni Cinquanta. E' situata tra Basso Novarese e Lomellina, nei Comuni di Borgolavezzaro (NO) e Nicorvo (PV) e rappresenta l'ultimo ambiente di questo tipo lungo il percorso piemontese del torrente Agogna.

Il territorio inizialmente si estende per circa 6 ettari, acquisiti dalla locale federata della Pro Natura, l'Associazione culturale Burchvif di Borgolavezzaro.

Il progetto di un Laboratorio di ecologia all'aperto e osservatorio faunistico è andato avanti con lavori di sistemazione e di bonifica che si sono posti l'obiettivo di restituire, al terreno all'interno della lanca e alle rive, una copertura arborea il più vicino possibile alla vegetazione originaria, nonché a proteggerlo da ogni forma di disturbo che ostacoli la ricostruzione dell'habitat originario.

Dalla primavera del 1991 è iniziata la sperimentazione volta alla ricostruzione di un querco-carpineto planiziario padano per il quale sono stati assunti a modello il Bosco di Agognate e il Bosco di Cusago.

Tutto il materiale impiegato per la ricostituzione delle vegetazione arborea e arbustiva proviene da zone limitrofe e pertanto obbedisce a tutti i possibili criteri di "ecotipicità".

Nel lavoro scientifico di rinaturalizzazione dell'area sono state previste alcune aree staccate piantumate con qualche albero da frutto per favorire la presenza di fauna ornitica frugivora ed è stato realizzato un interessante vivaio che ha permesso di salvaguardare il patrimonio genetico delle specie presenti in zona.

La fauna è presente con numerose specie di mammiferi, di anfibi, rettili e sauri nonché con le tipiche specie dell'avifauna acquatica quali airone cinerino, nitticora, tarabusino, gallinella d'acqua, germano reale ecc..

Gli insetti popolano l'area con centinaia di specie; da segnalare la presenza di un coleottero, il Carabus clathratus, ormai piuttosto raro per la Pianura Padana.

L'area è stata attrezzata con cartelli didattici che indicano contenuti e caratteristiche dell'oasi e norme di comportamento per la sua visita.

Oasi di Agognate

http://www.volambiente.it/approfondimenti/oasi3.php
http://www.fausernet.novara.it/~smplomba/oasi/pag1.htm
L'oasi di Agognate, di 12 ettari, rappresenta la testimonianza di come è possibile tutelare e proteggere la natura anche in un ambiente antropizzato e in prossimità di una città.

Percorrendo la S.S. 299, appena usciti da Novara in direzione Varallo Sesia, poco prima del ponte sul torrente Agogna si imbocca una stradina asfaltata sulla destra. Dopo poco sulla sinistra si apre una sterrata che porta all'ingresso dell'Oasi.

In un ambiente dominato dall'attività agricola, l'Oasi LIPU Agognate rappresenta un lembo di bosco che ha mantenuto le caratteristiche tipiche della foresta planiziale che un tempo ricopriva quasi per intero la Pianura Padana. Il bosco infatti, pur dominato dalla Robinia, presenta numerose specie autoctone quali farnie, aceri campestri e olmi mentre nelle aree più prossime al letto del torrente si rinvengono esemplari di Ontano nero, Salice bianco e Pioppo nero. Una grande varietà di arbusti fa da cornice ai sentieri dell'Oasi. Uno spettacolo è offerto, soprattutto nel momento della fioritura primaverile, dai piccoli fiori del sottobosco: dall'azzurro della Scilla bifoglia e della Pervinca, al bianco dell'Anemone nemorosa al pallido violetto del Dente di cane, l'Oasi è un continuo susseguirsi di colori e profumi.

La varietà di ambienti dell'Oasi, seppur su una Superficie ridotta, offre la possibilità a numerose specie di uccelli di sostare e riprodursi, sia quelli legati al bosco che all'ambiente umido. Tra i primi si segnala lo Scricciolo, il Codibugnolo, il Luì piccolo dal caratteristico canto ripetitivo, la Capinera e il Pettirosso. Gli alberi più vecchi sono indispensabili per il Picchio rosso maggiore, che all'inizio della primavera fa risuonare il bosco con i suoi tambureggiamenti e per il Picchio verde, dal tipico richiamo sghignazzante simile ad una risata. Ed ancora le cince, presenti in inverno con quattro differenti specie: le più comuni Cinciallegra e Cinciarella e le specialistiche Cincia mora e Cincia bigia.

Lungo il torrente è abbastanza facile imbattersi nello sfrecciare del Martin pescatore oppure nel volo ondulato della Ballerina gialla e nell'incessante andirivieni tra il limo e i sassi del Corriere piccolo, alla ricerca di insetti e larve. All'interno dell'Oasi non mancano altre specie animali interessanti, seppur di non facile osservazione. Tra i mammiferi l'Oasi offre un sicuro rifugio alla Volpe, al Ghiro, al Moscardino e alla Donnola, oltre allo Scoiattolo che è più facile da vedere percorrendo in silenzio i sentieri. Anche i Rettili e gli Anfibi sono ben rappresentati.

L'Oasi è aperta al pubblico tutto l'anno per le visite autoguidate seguendo i sentieri e le indicazioni esistenti. Visite guidate per gruppi e scolaresche devono essere prenotate contattando la Sezione LIPU Novara (Tel. 0321/458333).