Per il tipo di coltivazione predominante nella zona, da secoli il riso e poi anche il mais, ma in passato anche il gelso per l'allevamento del baco da seta, l'apporto dei fiumi e dei torrenti non sarebbe stato sufficiente se non fosse stato integrato da un complesso sistema di rogge, cavi e fontane che hanno convogliato nella nostra zona acque di varia provenienza.
Nel Quattrocento due fatti rilevanti trasformarono le nostre campagne, l'allevamento del baco da seta e la coltivazione del riso, proprio grazie all'accresciuta disponibilità di acqua. Gli Sforza già nel 1475 coltivavano riso e allevavano bachi da seta nelle tenute lomelline e tali pratiche ben presto si estesero a tutto il nostro territorio.
L'agricoltura divenuta più intensiva portò al frantumarsi dei grandi latifondi, alla crescita dell'insediamento sparso nelle campagne e alla costruzione delle tipiche "cascine" a corte, costituite da vasti cortili racchiusi sui quattro lati da edifici con varie funzioni.
La costruzione di questi corsi d'acqua artificiali ha modificato l’assetto del territorio, trasformando l’ambiente naturale originario, ricco di zone paludose e boscaglie nell’attuale paesaggio agricolo caratterizzato dalla presenza di rogge, come la Mora, di fontanili, molti dei quali oggi purtroppo abbandonati come la fontana "Sciocca", dal nome dell'antico proprietario Laurentius Sciochus, e di “cascine”.
Lo stesso paese di Veveri è nato poco alla volta dall'aggregazione di case coloniche e di cascinali a corte e il nostro territorio è circondato da cascine storiche che, pur non appartenendo propriamente a Veveri, hanno sempre avuto forti legami con la nostra gente: cascina Bollini, cascina Margattino, cascina Greffe, cascina Margatto, cascina S. Biagio e cascina Mirabella. Le cascine S. Caterina, Roggia, Campana e Cantone fanno invece parte della realtà veverese come quelle modificate parzialmente, o scomparse, all'interno del centro abitato.
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Scendendo dalla piazza, sul lato destro, erano allineate diverse costruzioni agricole oggi in gran parte scomparse e sostituite da abitazioni civili. Solo nella cascina Buslacchi, al n°6, si conserva il vecchio porticato con stalla e con sovrastante fienile che però hanno cambiato uso. Scomparsa la "Cassina con Torre" di proprietà della marchesa Matilda Nazara Visconti, documentata nella mappa teresiana del 1723 e passata di proprietà a Gramone Giuseppe nel 1771: era formata da quattro corsi con altezze diverse, con un cassero in mattoni e tetti in coppi, e una stalla, demoliti nei primi anni cinquanta per far posto ad uno stabile lungo via Vignale e un condominio sul sito della stalla. A Veveri era conosciuto come il culumbaron.
Scomparsa la cascina di Francesco Buslacchi, al sciur Cichin, che aveva sulla facciata una meridiana con fondo azzurro; scomparsa la grande "Cassina Gorla",la probabile curtis medioevale, conosciuta come "Cassina dal Signurin", alla confluenza della via Vignale e della via Roggia Mora, sostituita da un complesso di villette a schiera. Tra queste due cascine, a sinistra, si apre una breve strada che allora si chiamava "crota" e che permette di accedere alla Cassina Tacchina o cortile Brolo. Questo nome significa orto, verziere, zona recintata e piantata e richiama la vasta superficie da sempre dedicata agli orti, con l i prösi, a sud della corte. Da quel nome di origine celtica, poi latinizzata in brolus, ne deriva l'espressione dialettale la curt dal bröl.
Modificata sensibilmente e trasformata in abitazione civile la vecchia cassina dei Burlone (Bürlon), subito dopo, a destra, del sottopasso di via Roggia Mora.
Proseguendo, tra la via Vignale e il corso della Roggia Mora, si trovava, e parzialmente si conserva, la cascina Porta, accanto alla cascina S. Caterina. Apparteneva, agli inizi del Settecento, a Giuseppe, Antonio e Gaudenzio Della Porta. Tra questa e la cascina dei Burlone, si trovava la cascina di don Carlo Porta che possedeva altre costruzioni in paese. Lungo il muro esterno che costeggia via Vignale si conserva ancora, sia pure degradata, una nicchia con un semplice affresco ottocentesco raffigurante la Madonna.
Sempre proseguendo lungo la via Vignale si incontra la cascina Santa Caterina, una corte con tre corpi e un cassero che nel Catasto Teresiano del 1723 viene indicata come proprietà dei Padri di S. Quirico e nell'Ottocento in parte diverrà cascina Ramelli.
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In documenti risalenti al 1658, conservati nell'Archivio vescovile, viene descritta la cappella annessa al Monastero delle Domenicane di S. Caterina. Questo monastero era sito là dove oggi vi è la cascina Roggia, in via Vignale, sulla sinistra della precedente, e sui muri esterni rivolti a nord si intuiscono ancora oggi gli affreschi del Cinquecento. All'esterno della cappella vi era un affresco rappresentante la Vergine, oggi fortemente degradato, sopra l'arco ancora visibile. Sul lato lungo, sempre posto a nord, si intuiscono degli stemmi, oggi molto degradati e quasi illeggibili: in quello superiore si nota un animale, forse un leone, sormontato da una stella. In basso una parte di una scritta.
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Dopo aver lasciato la cascina Roggia, proseguendo lungo via Vignale, si incontra, sulla destra, la grande cascina Campana, poco prima dell'incrocio tra la via Vignale e la via delle Rosette, già strada vecchia per Borgomanero, che ha conservato il guado attraverso la Roggia Mora, ancora praticato da alcune persone. Il nome attuale di questa via che collega la zona del Cantone alla vecchia nostra parrocchia di S. Andrea, deriva da una certa Rosa Govone, rimasta orfana da giovane ma, col tempo, divenuta benestante si era occupata delle giovani orfanelle fondando a Mondovì, nel 1742, l'Istituto delle Rosine. Nel novembre 1766 fonda un medesimo istituto a Novara che, dal 1784 al 1824, avrà sede nel sobborgo di S. Andrea proprio lungo la via che oggi porta il suo nome.
La cascina Campana è documentata nella mappa teresiana del 1723 come una "cassina con corte da massaro", proprietario era il marchese Nazaro Ottaviano ed aveva la sua residenza la marchesa Matilda Visconti Nazaro la quale possedeva anche una cassina con forno e una cassina con torre (quella già citata).
Lungo la via delle Rosette, già agli inizi del Seicento, vi era la cascina Cantone che ha dato il nome a tutta la zona detta al Canton. Era allora chiamata Cassina del Tavola ed era di proprietà dei Panazza, Gioanelli, Conti e Cama. Da diversi anni la cascina non esiste più avendo lasciato il posto a capannoni industriali e a costruzioni moderne che hanno più volte cambiato destinazione.
Il numero delle cassine rimase abbastanza stabile tra il Seicento e la prima metà dell'Ottocento e lo prova il confronto tra le carte teresiane e la carta redatta da Vincenzo Tettoni nel 1822: entrambe però riportano solo le costruzioni e le proprietà che davano origine ad un prelievo fiscale, infatti erano frutto del lavoro catastale finalizzato al pagamento delle tasse.
Da queste carte sono quindi assenti molte piccole abitazioni dove abitavano le persone dedite al lavoro nei campi sotto padrone, i salariati e gli stagionali; un esempio per tutti la curt di spagnö che con il proprio toponimo indica una origine antica, risalente all'epoca spagnola, un vasto cortile dove però non abitava nessun proprietario terriero e non vi erano cascine, solo povere abitazioni, piccole stalle, chiamate stalin, casseri e stabioli dove si allevava un maiale o poche galline. Queste abitazioni vengono censite solo negli anni più vicini a noi come riportano le catastali di inizio Novecento. In quella riportata sono anche diversi i nomi delle vie: la via Vignale si chiamava strada vicinale S. Caterina; la via Verbano era la strada Genova-Svizzera; la via Roggia Mora dal sottopasso all'asilo era denominata strada vicinale della Vela che diveniva, dopo la Roggia Mora, strada vicinale del Forno.
Ciò che nel tempo è cambiata in parte è il titolo di proprietà: tra l'inizio del Settecento il 38% delle cascine erano di proprietà nobiliare e il 23% erano di proprietà della Chiesa; agli inizi dell'Ottocento la nobiltà era scesa al 23% e la Chiesa all'8% ed emergevano come proprietari nomi come Tacchini, Agosta, Burlone, Buslacchi, Fizzotti, Gramone e Cama. Nel 1895 erano censite 68 proprietà immobiliari diverse, poche in mano a nobiltà e clero.