I piccoli tesori di Casalino

ovvero ...la Chiesa di San Pietro, la Parrocchiale e la Parete dei Santi, il Castello

ottobre 2020

Foto di Livio G. Rossetti

Domenica 27 settembre 2020, avendo letto la notizia di una visita guidata al Comune di Casalino e ai suoi monumenti, ho deciso di visitare questo comune della Bassa novarese che tanti anni fa avevo studiato e inserito tra i comuni che formavano l'oggetto della mia tesi di laurea, cioè le variazioni del paesaggio geografico della Bassa risicola a partire dal primo censimento dell'agricoltura del 1861 e arrivando agli inizi degli anni 'Settanta del secolo scorso, quando ormai l'agricoltura era ormai meccanizzata e i contadini diminuiti drasticamente.
Casalino è un comune di 1.529 abitanti (ne contava oltre 4.000 al censimento del 1901) su di una superficie di 39,49 km², con una densità di poco più di 38 ab./km²; è composto dal capoluogo Casalino, di circa 450 abitanti, e le frazioni di Cameriano (circa 900 abitanti), di Orfengo e Ponzana e numerose cascine, tra cui la famosa "Graziosa". All'apparenza è un tranquillo centro agricolo nelle vicinanze di Novara.

Ad attenderci, e nostro accompagnatore durante la visita, è il Vicesindaco di Casalino, dott. Sergio Ferrari presso la chiesa di San Pietro.
San Pietro è la vecchia chiesa parrocchiale di Casalino datata con ogni probabilità alla fine dell'XI secolo.
La prima testimonianza certa della chiesa di San Pietro risale al 25 maggio 1194, giorno in cui fu stipulata la pace di Casalino fra Novara e Vercelli che pose la fine a un periodo di contese economiche (tra l'altro i Biandratesi avevano distrutto l'unico mulino di Casalino) e religiose tra le suddette città e i Conti di Biandrate, proprietari di un esteso fondo ottenuto grazie all'amicizia con l'allora imperatore del Sacro Romano Impero e re d'Italia, Federico I Hohenstaufen, più noto come Federico Barbarossa, che però era nel frattempo morto, affogando durante il guado del fiume Saleph, in Cilicia, nel Sud-Est dell'Anatolia, in prossimità della Terra Santa, il 10 giugno 1190, durante la Terza Crociata.

Il 25 maggio 1194 fu stipulata la seguente pace tra Martino Bicherio e Bomelli Bazzano, Guglielmo da Bigerracano e Giacomo da Guidolardo, consoli del Comune di Vercelli a nome della stessa comunità da una parte e dall'altra parte Opizzone da Briona e Giacomo Lavigio consoli della città di Novara. "Tutti gli abitanti di Vercelli e di Novara dall'età di 15 anni sino ai 70 debbono fare giuramento di aiutarsi gli uni con gli altri contro chiunque, fatta eccezione per il signor Imperatore, in buona fede e senza dolo, persone singole e collettive, luogo e luoghi in conflitto con Novara o Vercelli per il presente o per il futuro, entro otto giorni dopo la richiesta debbano combattere validamente. Né potranno stipulare una qualsiasi pace nel conflitto e nemmeno tregua o convenzione o ritirata dal combattimento senza la dichiarazione di tutti i consoli di Novara, o quantomeno della maggioranza di essi, deliberata nel Consiglio della Credenza, intero o per maggioranza, convocato con il suono della campana e dunque non debbano negli otto giorni dare aiuto o decisioni. Uguale impegno sarà per Novara nei confronti di Vercelli. Vercelli e Novara dovranno mantenere Biandrate distrutta e mettere in atto tutto quanto serva ad impedirne la riedificazione o qualcosa di uguale consistenza. I Conti di Biandrate non potranno essere considerati quali concittadini o vicini e per altro non potranno essere accolti i Biandratesi o gli altri abitanti delle vicinanze quali cittadini a meno che abbiano prestato giuramento in Vercelli. I Vercellesi li dovranno accogliere se costoro, entro la prossima festa di San Martino, si saranno recati in Vercelli per abitarvi per sempre con l'intera famiglia. Anche per coloro che avranno dichiarato il domicilio a Novara vi sarà dovere per i Novaresi di accoglierli, entro la prossima festa di San Martino, qualora si siano sistemati per sempre a Novara o nei sobborghi. E se qualcuno avrà giurato di scegliere una delle due città, questa, per la quale avrà scelto in prima istanza, li dovrà accogliere mentre l'altra non sarà tenuta. Passata tale data nessuna delle due città sarà obbligata ad accogliere qualcuno dei Biandratesi o degli abitanti del territorio circostante e ognuno dovrà rinunciare all'abitazione a meno che persista una decisione comune dei consoli o dei podestà delle due città e della Credenza intera o della maggioranza dopo la chiamata della campana. Le tasse di passaggio e dell'alloggio e tutto quanto è di competenza e giurisdizione dei Biandratesi e degli abitanti viciniori sono nel potere comune dei Vercellesi e dei Novaresi e questi diritti vanno risolti in buona fede e di comune accordo e se vi sarà impossibilità di accordo sarà facoltà a ciascuna delle due città di esigere da loro per il mercato sino a lire cinquanta imperiali e pure i diritti di passaggio dei carri e di alloggio. Gli accordi e i patti che i Vercellesi hanno fatto per la Valsesia con i conti di Biandrate o con gli abitanti della Valsesia e qualsiasi altro diritto posseduto in Valsesia, gli stessi Vercellesi li hanno passati ai Novaresi fatti salvi i possessi individuali. Qualora altri accordi e patti siano stati stipulati dai Novaresi con singoli o molti, aldilà della Valsesia verso i Vercellesi, sono stati ceduti dai Novaresi ai Vercellesi fatte salve le priorità individuali, mentre i Vercellesi rimisero ai Novaresi ogni giurisdizione e ogni diritto che possiedono al di là della della Valsesia verso Novara al di sopra di Biandrate, fatti salvi i possedimenti individuali. Al di sotto di Biandrate i Novaresi hanno lasciato ai Vercellesi ogni diritto e ogni giurisdizione che i Novaresi hanno nei territori del Vescovo di Vercelli fatte salve le priorità individuali. I Novaresi abbiano Casaleggio e Gargarengo, come di fatto hanno; e Vercelli invece abbia Casalvolone come di fatto già avviene. Nessuna delle due città accoglierà gli espulsi e li manterrà per propria scelta, con coerenza, li espellerà e invece li catturerà se verrà richiesto. Inoltre si Vercelli che Novara, dovranno accogliere i cittadini e preservare i beni di tutte le soprascritte città, con sicura coerenza, sia in città che nel territorio. Inoltre sia Vercelli che Novara non dovranno costruire ponte sul fiume Sesia dopo Oldenico sul quale possano passare carri e bestiame, buoi, cavalli e asini se non con delibera di tutte e due le città e qualora accadesse senza delibera del comune sia lecito a ciascuna di impedire che venga costruito e che nessuna di esse possa fornire aiuto e consulenza a coloro che costruiscono tale ponte ma sia lecito costruire su quel tratto del fiume soltanto un ponte per il passaggio pedonale. Inoltre sia permesso agli abitanti di Romagnano di avere quante imbarcazioni vorranno sul fiume Sesia. Queste prescrizioni, sopra descritte, e quante altre si vorranno aggiungere con delibera del comune delle due Città, dovranno essere osservate per cinquant'anni e si dovrà rinnovare il giuramento ogni cinque anni da parte di ciascuna delle Comunità. Inoltre i consoli di ciascuna città sottoscriveranno con giuramento questi patti impegnandosi a mantenerli saldi e provvederanno che i consoli futuri giurino ogni anno per il tempo prefissato di cinquant'anni e mettano la firma sul documento che firmano oggi i consoli e i podestà soprascritti. Tutti questi patti verranno rispettati a Vercelli ad eccezione di Torino, di Asti, di Ivrea a meno che Ivrea non abbia a contrastare Novara e per la mediazione di Vercelli non intenda recedere entro un mese dalla richiesta di Vercelli. Allora, di conseguenza, Vercelli non deve aiutare Ivrea né con azioni né con delibere, contro Novara né impedire a Novara di attraversare il proprio territorio per combattere Ivrea. Se qualcuno che oggi abita in Ivrea, o vi abiterà, avrà recato danno a Novara e non voglia dar soddisfazione per il tramite di Vercelli, Vercelli sarà tenuta ad aiutare Novara. Tutte queste convenzioni saranno osservate da Vercelli e da Novara, ad esclusione di Milano e la Lombardia. Questi patti, come sono stipulati nel testo, sono firmati dai consoli di Novara e Vercelli per osservanza e fedeltà e fatti sottoscrivere agli altri consoli e cittadini. Per la Pace di Novara secondo i patti hanno firmato fedeltà e fatti sottoscrivere agli altri consoli e cittadini. Per la Pace di Novara secondo i patti hanno firmato fedeltà e impegno Alberto Boniperti, l’avvocato Lisiadro, Gregorio di Borgosesia; per la Pace di Vercelli il testo è stato giurato da Giovanni Di Benedetto, Bonifacio Uguzzone, Bartolomeo Carosi console della Società di Santo Stefano. Sono state richieste più copie del medesimo tenore.
Patti stipulati nella Chiesa di San Pietro di Casalino.

L'edificio conserva ancora l'originaria struttura romanica a tre navate con tetto ligneo. Fu decorata con affreschi nella seconda metà del Quattrocento, come attesta la lunetta della facciata, datata 1479. Tra la fine del Cinquecento e l'inizio del Seicento venne abbattuta l'abside. Nel XIX secolo venne pesantemente intonacata all'esterno e all'interno, ora decorato da profilature che richiamano lo stile gotico.
In origine era una basilica a tre navate, spartite da pilastri rettangolari, coperte da solo tetto, con abside semicircolare al centro e a sud. Di questa chiesa ci è noto ben poco: non pare avesse dignità di pieve. Nel 1851 si provvide alla posa del pavimento in cotto, al ripristino degli stucchi ed al rinnovo della decorazione da parte del pittore Bolzanini. All'interno, oltre all'altare maggiore, si trovano due altari uno dedicato a Sant'Antonio da Padova, l'altro al Crocifisso. Attualmente è chiusa al culto, ma si celebra la Santa Messa il 29 giugno, in occasione della decorrenza dei Ss. Pietro e Paolo.
Le murature sono ricoperte da intonaci, ma si può osservare l'aspetto originario sul fronte superiore, su parte delle absidi e sul muro a nord che è composto in larga parte di frammenti di cotto e tegole disposte a spina di pesce. La decorazione esterna è limitata a semplici cornici di archetti pensili sui muri della navata. L'esecuzione di questi archetti è semplice: le mensole di sostegno sono in cotto di tipo molto semplice. Le finestre originali erano strette ed alte. Sulla facciata esterna esiste un affresco nella lunetta che si trova sopra il portale di entrata, datato 1479 raffigurante San Pietro con a fianco due angeli ormai poco leggibili, come pure un frammento di affresco in una nicchia trilobata, ormai non visibile, in un riquadro sulla parete esterna posta a sud. Tra la fine del Cinquecento e l'inizio del Seicento venne abbattuta l'abside posta a capo della navatella settentrionale, ancora documentata, insieme con un campanile, nel 1596. Nel secolo XVIII venne restaurata e ridotta nella forma attuale: fu distrutto l'abside e fu sostituito con una cappella rettangolare, vennero costruiti due tramezzi in modo da separare una piccola sacrestia, furono manomesse le finestre originali, ampliata la volta del coro, rimaneggiati i pilastri e intonacati i muri, sia all'interno, sia all'esterno. Del 1753 è la ristrutturazione e la decorazione della cappella centrale.


La Chiesa parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo​, fu costruita verso la metà dell'Ottocento, venne infatti costruita fra il 1841 e il 1844 su disegno dell'architetto Luigi Cerasoli. È una chiesa neoclassica, di stile dorico, che si apre con un grandioso pronao eretto in anni successivi, fra il 1843 e il 1848 e completato con il timpano nel 1858, costituito da quattro grandi colonne in granito rosso di Baveno. All'interno vi sono tre altari: quello maggiore è costruito in marmo e, sul muro retrostante si trova un dipinto raffigurante la Madonna del Rosario, mentre due altri dipinti laterali raffigurano i santi patroni. Lo scultore All'altare di sinistra si trova la statua lignea della Vergine, dipinta e decorata nel 1843 e poi nel 1913.
Per reperire i denari per la nuova e più ampia parrocchiale collaborarono sia la popolazione (fornendo il ricavato dei bozzoli da seta e della filatura e giornate di lavoro nei giorni festivi), sia persone più abbienti come il conte Michele Angelo Leonardi che alla sua morte lasciò 2.500 franchi, o l'abate don Giuseppe Curti che dispose la cottura di 200.000 mattoni da regalare alla nuova costruzione. La cerimonia della posa della prima pietra avvenne il 7 novembre 1841. Nel 1898 furono rinnovati i vetri delle finestre e, a conclusione dei lavori, venne fatto realizzare il grande stendardo. Nel 1906 fu posto in opera il nuovo pavimento in mattonelle colorate. L'edificio venne decorato e dipinto nel 1843 e una seconda volta nel 1913 dal pittore Aluffi. Quest'ultima decorazione venne in parte cancellata nei seguenti anni settanta. Nel 1924 fu anche arricchita con un nuovo organo fabbricato dalla ditta Aletti di Monza.

La Cappella dell'Annunziata di Casalino rappresenta la parte superstite dell'antica chiesa parrocchiale che il Vescovo di Novara Carlo Bascapè visitò il 4 maggio 1596, ed è attigua all'attuale parrocchiale ottocentesca dei santi Pietro e Paolo. Nel settembre 1995 sono venuti alla luce due cicli di affreschi risalenti alle seconda metà del XV secolo, disposti su due registri. Nel registro superiore nord vi sono quattro riquadri: nel primo è raffigurato San Sebastiano; nel secondo una Crocifissione con la Vergine, Maria Salomè e Maria di Cleofa. Il terzo raffigura la Madonna in trono che allatta il Bambino. Il quarto rappresenta l'Assunzione in Cielo di Maria Vergine attorniata dai 12 Apostoli. Nel registro inferiore vi sono quattro grandi riquadri: nel primo a sinistra è raffigurata Santa Marta che regge un libro e il secchiello dell'acqua santa. Nei riquadri successivi sono raffigurati Santo Stefano; San Rocco di Montpellier, San Pietro Martire e San Bernardino da Siena e l'ultimo rappresenta San Giovanni Battista. Infine, sulla parete est, sono visibili laceri di pittura con una croce e i simboli della Passione. La parte restante è occupata dal “Credo”.
Quella che oggi viene chiamata Cappella dell’Annunziata (o anche Madonna del Carmine) rappresenta la zona absidale, che fungeva da coro, dell’antico edificio: essa ingloba in sé anche quella “parte del coro” appartenuta al precedente edificio religioso. Ed è proprio su questo muro appartenuto alla chiesa precedente a quella cinquecentesca che sono comparsi gli affreschi della “Parete dei Santi”.



A metà del Trecento il villaggio di Casalino era circondato da un fossato e gli abitanti avevano eretto delle fortificazioni. Nel 1358, al tempo della devastante guerra fra Galeazzo II Visconti e il marchese Giovanni del Monferrato, quest'ultimo si impadronì del castello di Casalino, ripreso per breve tempo dal Visconti, nel 1361 fu occupato dalle truppe mercenarie inglesi di Alberto Stertz. Al termine del conflitto paese e castello tornarono sotto il controllo dei Milanesi, ma all'inizio del 'Quattrocento essi furono occupati nuovamente dal marchese del Monferrato e solo nel 1417 furono restituiti al duca di Milano Filippo Maria Visconti. A metà 'Quattrocento l'abitato di Casalino appariva formato da un villaggio, da un borgo vecchio e dal castello, entro il quale era stata costruita una solida rocca. Attorno al 1470 i signori di Milano investirono del feudo di Casalino Luca Crotti, consigliere ducale e figlio di Giovanni Crotti, comandante della piazzaforte di Pavia. Luca riorganizzò il vasto complesso patrimoniale della famiglia (comprendente anche Vinzaglio, Robbio, Orfengo, Peltrengo) e i Crotti mantennero i diritti giurisdizionali su Casalino fino alla metà del 'Seicento, ma non furono interessati al castello, il cui possesso era ambito dalla famiglia Leopardi, che già possedeva ampie proprietà sul territorio ed erano venuti ad abitare in paese. Scomparsi i Crotti nel 1651, il feudo fu assegnato alla famiglia di Galeazzo Trotti, che esercitò i diritti giurisdizionali fino al 1711. In seguito essi appartennero al marchese Carlo Baluardi, che nel 1720 vendette il feudo al conte Niccolò Leonardi, che già possedeva l'intera proprietà del castello. Alla morte di Niccolò, nel 1732, feudo e castello passarono al figlio Michelangelo. Alla sua morte, nel 1787, quando ormai il Novarese era passato ai Savoia, l'eredità toccò al figlio Luigi. Pochi anni più tardi, dopo l'abolizione dei diritti feudali, il conte Luigi Leonardi aderì alla Repubblica Cisalpina, e fu inviato con Giuseppe Prina come rappresentante di Novara alla Consulta di Lione, dove il 26 gennaio 1802 fu proclamata la costituzione della Repubblica d'Italia. Dopo la sua morte nel 1807, il figlio Michelangelo ereditò il castello di Casalino, rimasto alla famiglia fino ai nostri giorni.

Castello di Casalino. La costruzione risale probabilmente alla metà del XIV secolo. Dal settecento e fino a pochi anni fa appartenne alla nobile famiglia dei Leonardi e ancora oggi è proprietà di privati. Anche se attualmente il castello non è abitato, è in gran parte conservato e ben curato. Conosciuto già dal 300, fu feudo dei Porro, dei Crotti e dal 1751 dei Leonardi. È diviso in tre parti: la rocca, la villa padronale e, separati da un muro, i magazzini. Un solo documento del 24 maggio 1452 ci informa sull'evoluzione subita dal castello nel XV secolo: entro la fortificazione, la famiglia dei Da Rosate possedeva numerosi immobili e uno di questi era stato affidato ad alcuni abitanti di Casalino. Il luogo era formato dalla villa, dal borgo vecchio e dal castello in cui si distingueva il nucleo più recente e maggiormente solido della rocca. All'entrata è visibile una fuga di quattro archi in mattoni rossi, e dietro a questo primo edificio ne sorge un secondo, la cui parete inferiore è autentica, mentre la sopraelevazione è stata effettuata in un periodo successivo, quando furono risistemate molte abitazioni del complesso. A destra della torre d'ingresso si può osservare il muro settentrionale di un edificio castellano, in cui è evidente l'antico cammino di guardia con l'aperture ad arco ribassato.
Più sotto un cordonato di cotto segna l'inizio della scarpatura del muro, che scendeva verso il fossato, attualmente interrato; a metà altezza una serie di piccole finestre dava luce alle antiche camere del primo piano. Le grandi finestre di cotto sembrano di fabbricazione abbastanza recente.
L'area incastellata doveva essere molto vasta, ed è ancora segnata dalla muraglia che recinge le costruzioni ed il vasto parco; dell'antico castrum quasi nulla è rimasto ad eccezione di una serie di casoni rustici sul lato orientale, che possono risalire al Cinquecento. Restano invece, a nord proprio di fronte all'attuale cancello di accesso, alcuni importanti resti della rocca, documentata nel Quattrocento. A sinistra della rocca un edificio ospita le scuderie ancora ottimamente conservate. Qui si apriva l'ingresso antico con i ponti levatoi sulla porta carraia e di un piccolo ponte levatoio, probabilmente una pusterla pedonale, sopra la quale è ancora visibile la sede del bolzone; oltre l'arco a tutto sesto si apre una vasta entrata, alla base del torrione che la sormontava.
A destra si scorge la cappella privata e poi si accede ad un vasto parco, con alberi secolari, canneti a margine del laghetto, arbusti e un'infinità di fiori. A sinistra vi sono gli edifici rustici che costituivano la dimora dei salariati dei conti: una cinta separa le due aree del castello e a sud un palazzo del tardo Seicento chiude la corte rustica. Interessante in quest'ultima gli edifici del lavatoio posti in fondo al frutteto. Il seicentesco palazzo padronale è un edificio a forma quadrata con al centro un cortile su cui si affacciano le varie stanze. Oggi tutti gli ambienti sono disadorni e spogli di qualsivoglia mobile o suppellettile. Anche la biblioteca è completamente vuota. Gli interini sono ancora in buono stato sebbene siano stati rimaneggiati dagli ultimi inquilini.
Di questo castello non si hanno notizie di vicissitudini, guerre o altro.