La Tricky Tour di Novara ha organizzato una gita giornaliera a Brescia, Capitale della Cultura 2023. Brescia conta circa 200 mila abitanti ed è un'antica città le cui origini risalgono a oltre tremila anni fa, e possiede un discreto patrimonio artistico e architettonico con monumenti d'epoca romana e longobarda. Sorge nell'alta Pianura Padana allo sbocco della val Trompia, ai piedi del monte Maddalena e del colle Cidneo. Il centro storico è racchiuso nel perimetro della cinta muraria di epoca veneta, abbattuta tra la seconda metà dell'Ottocento e gli anni venti del Novecento.
Il toponimo "Brescia" trae origine dal nome cenomane e poi romano della città, denominata da Augusto come "Colonia Civica Augusta Brixia". Viene fatto risalire al termine celtico brik/brig, cioè sommità, colle, altura. Le origini di Brescia risalgono al 1200 a.C., quando una popolazione costruì un insediamento nei pressi del Colle Cidneo. Nel VII secolo a.C. si insediarono i Galli Cenomani che fecero di Brescia la loro capitale. Successivamente, a cavallo tra III e II secolo a.C., a seguito di scontri tra Insubri, Galli e Romani, Brixia iniziò il percorso di annessione alla Repubblica romana, culminato nel 41 a.C. quando gli abitanti ottennero la cittadinanza romana, pur mantenendo una certa autonomia amministrativa.
Dal 402 al 493 subì numerose invasioni barbariche, tra cui quelle dei Visigoti di Alarico, degli Unni di Attila, degli Eruli di Odoacre e degli Ostrogoti di Teodorico; proprio sotto quest'ultimo la città acquisì importanza nel regno ostrogoto. Dal 568 divenne un importante ducato del regno longobardo. Proclamatosi comune autonomo già nel XII secolo, finì sotto la dominazione viscontea e poi si diede, con la dedizione del 24 novembre 1426, ai Domini di Terraferma della Repubblica di Venezia e ne rimarrà legata fino alla fine del 1797.
Il cospicuo patrimonio artistico e l'importante eredità archeologica che costituiscono il suo centro storico, sono composti da diversi monumenti che spaziano dall'età antica a quella contemporanea. Dal 2011 l'UNESCO ha inserito nell'elenco dei luoghi da proteggere i resti del periodo romano e longobardo in Italia come l'area del Foro romano, il Capitolium, il tempio in cui veniva venerata la Triade Capitolina, il teatro romano, il complesso monastico longobardo di San Salvatore-Santa Giulia, trasformato nel Museo di Santa Giulia che visiteremo.
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Il complesso museale è composto dalla basilica di San Salvatore, cuore dell'antico monastero longobardo, edificata nel 753 per volere del duca Desiderio, futuro re longobardo, che rappresenta uno dei maggiori esempi di architettura religiosa altomedioevale; dalla chiesa di Santa Maria in Solario, costruita verso la metà del XII secolo, che conserva all'interno la Croce di Desiderio (realizzata in argento e lamina d'oro, tempestata da 212 gemme preziose); dal monastero di Santa Giulia fatto erigere da Re Desiderio in epoca Longobarda e variamente ampliato e modificato in più di mille anni di storia, dalla chiesa di Santa Giulia costruita tra il 1593 e il 1599, divenuta oggi sede del museo. Il Museo di Santa Giulia è ubicato in Via dei Musei, lungo l'antico decumano massimo della Brixia romana.
La zona sottostante al Museo è ricca di reperti archeologici di varie epoche, in maggioranza appartenenti all'epoca romana e ben conservati, in particolare le Domus dell'Ortaglia che si sono salvate con i loro mosaici sotto una coltre di terra ove esisteva l'orto delle monache. Fanno parte del museo tutte le strutture dell'antico monastero, fra cui la chiesa di Santa Maria in Solario, il coro delle monache e la chiesa di Santa Giulia.
Nel museo sono conservati migliaia di oggetti e opere d'arte che vanno dall'età del Bronzo all'Ottocento, provenienti soprattutto dal contesto cittadino e dalla provincia di Brescia, che ne fanno un vero e proprio museo cittadino. La maggior parte degli oggetti esposti sono stati rinvenuti nelle tombe di varie epoche ed erano i corredi funerari, mentre le teste di bronzo dorate sono state ritrovate soprattutto durante gli scavi nell'area del tempio capitolino, in alcuni casi sono dedicate ad imperatori romani o a donne di alto rango. Tra le numerose opere d'arte si ricordano soprattutto la Croce di Desiderio e la Lipsanoteca costruita interamente in avorio scolpito su tutti i lati.
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Il complesso delle Domus dell'Ortaglia è costituito da un gruppo di antiche domus romane rinvenute negli orti (ortaglia) del monastero di Santa Giulia. Essendo comprese nell'area del monastero, le domus fanno parte del sito "UNESCO Longobardi in Italia", i luoghi del potere (568 - 774 d.C.), dichiarato patrimonio dell'umanità nel 2011.
Questo sito è tra i complessi residenziali romani meglio conservati del Nord Italia, con lastricati in pietra, ambienti di rappresentanza, privati e di servizio, mosaici pavimentali e affreschi delle pareti in buono stato di conservazione. Questi vani delle domus erano dotati di riscaldamento a parete e a pavimento. La parte principale del complesso è composta da due domus distinte, dette Domus delle fontane e Domus di Dioniso. La ricchezza dei mosaici e delle pitture murali fa ipotizzare che le due abitazioni appartenessero a cittadini importanti.
Le domus erano parte della zona residenziale alle pendici del colle Cidneo, racchiusa tra l'area del Tempio Capitolino, e le mura romane, e furono utilizzate tra il I e il IV secolo. In seguito subirono un degrado progressivo e furono abbandonate. Con l'avvento dei Longobardi, la zona divenne area demaniale regia e poi una ortaglia del Monastero di Santa Giulia. Furono riscoperte tra il 1967 ed il 1971.
Il restauro conservativo inizia nel 1980 e prosegue fino al 1992 e nel 2002 viene completato con l'annessione del monastero al Museo di Santa Giulia ed è possibile ammirare i resti attraverso un percorso che consente di passare dai settori archeologici del museo alle domus che si visitano passando attraverso un percorso metallico che si snoda al di sopra dei resti dei pavimenti e dei muri. Le raffigurazioni sulle pareti ritraggono paesaggi, uccelli, pesci e maschere teatrali.
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Alla chiesa di San Salvatore si accede attraverso l'aula colonnata che sostiene il coro delle monache e si entra nella chiesa che rappresenta il nucleo antico del monastero giunto fino a noi, dove sono conservati i reperti pittorici più importanti della dominazione longobarda su Brescia. La chiesa ospita, alle sue pareti, diverse opere d'arte, fra cui gli affreschi del Romanino e di Paolo Caylina il Giovane. Importanti sono anche i resti dell'imponente architettura composti da colonnine, lastre, capitelli, cornici, archetti e frammenti vari come la lastra con pavone, dipinti delle Storie di sant'Obizio, le Storie della Vergine e dell'infanzia di Cristo nella cappella della Vergine, le Storie di san Giovanni Battista.
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Dalla chiesa si sale al Coro delle Monache, costruito a ridosso della facciata della chiesa di San Salvatore nella seconda metà del Quattrocento per permettere alle monache in clausura di ascoltare la messa senza mostrarsi ai fedeli, è stato completamente affrescato nella prima metà del secolo successivo da Floriano Ferramola, Paolo Caylina il Giovane e altri artisti minori di bottega.
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Dopo il Coro delle Monache il percorso prosegue scendendo nelle due aule della Chiesa di Santa Maria in Solario, costruita nel XII secolo utilizzando, all'esterno e all'interno, anche numerose lapidi romane di ecupero. Nell'aula inferiore, ad esempio, il pilastro centrale che regge le quattro volte a crociera di sostegno è una grande ara romana dedicata al Dio Sole.
Nell'aula inferiore è presente la Lipsanoteca, un cofanetto reliquiario in avorio (22x32x25 cm) risalente alla fine del IV secolo, e una Crocetta-reliquiario del X secolo.
La chiesa superiore è completamente rivestita da un esteso ciclo di affreschi eseguiti da Floriano Ferramola tra il 1513 e il 1524, più alcuni riquadri databili al Quattrocento e un grande affresco seicentesco. Al centro, chiuso in una teca vitrea, troneggia la famosa Croce di Desiderio, una croce astile in legno rivestito da lamina metallica ingemmata (158×100×7 cm), databile all'inizio del IX secolo. Ornata da 212 pietre, cammei e vetri colorati, è il più grande manufatto di oreficeria longobarda esistente e tra i più pregiati e conosciuti, collocabile nella fase di transizione con la cultura artistica carolingia. È l'oggetto altomedievale recante il maggior numero di pietre di età classica reimpiegate nel suo apparato decorativo. Per il suo alto pregio e la grande importanza storica che riveste, la Croce di Desiderio è l'iconica del museo di Santa Giulia e il simbolo della Brescia longobarda, tanto quanto la Vittoria alata lo è della Brescia romana. Le gemme che ornano i due fronti della croce spaziano dal I secolo a.C. al XVII secolo circa, un arco di tempo in cui al gruppo di cammei classici seguono una ventina di pietre contemporanee all'assemblaggio della croce, un'ottantina di vetri colorati di varie epoche e un'altra serie di aggiunte moderne, tra cui due frammenti di miniature. All'incrocio dei bracci si trovano un Cristo Pantocratore sul lato anteriore, lavorato a sbalzo e coevo alla croce, e un Cristo crocifisso sul retro, una fusione in metallo risalente al XVI secolo. L'inserto più noto è il medaglione con tre ritratti incastonato sul fronte e risalente al III secolo.
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Dopo aver lasciato il museo di Santa Giulia, lungo la stessa Via dei Musei, raggiungo nel mezzogiorno il luogo del Tempio Capitolino, in attesa di entrare per vedere la famosa statua bronzea della Vittoria Alata. Questa zona del Foro romano è composta da diversi monumenti romani: il Santuario repubblicano, situato sotto il tempio capitolino, che è l'edificio più antico del foro e che visiterò prima di vedere la famosa statua. È costituito da quattro aule rettangolari affiancate tra loro, all'interno delle quali si trovano i resti del pavimento a mosaico e degli affreschi parietali, in parte visibili a partire dalla primavera del 2015. Il Capitolium, costruito nel 73 d.C., che era il tempio più importante dell'antica Brixia, in cui veniva venerata la Triade Capitolina (Giove, Giunone e Minerva). Di fronte ad esso si trovano i resti dell'imponente porticato, con colonne aventi capitelli in ordine corinzio; le parti bianche delle enormi colonne sono originali e sono state collocate durante l'epoca fascista riunendo le parti ritrovate con colonne di mattoni recenti. Solo la colonna bianca posta verso nord è l'unica intera che era ancora in loco, sia pure ricoperta di terriccio di frana quando furono iniziati gli scavi ottocenteschi. Il Teatro romano si trova immediatamente a est del Capitolium e forma un semicerchio con il primo ordine di gradinate che si trovano ancora sotto terra, le due uscite laterali e i resti della cavea e della scena, il tutto coperto alla vista da costruzioni di epoche molto vicine ai nostri tempi.
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La Vittoria Alata di Brescia è una statua bronzea romana. Gli studi hanno determinato che il periodo della sua realizzazione si attesta attorno alla metà del del I secolo d. C.; è alta 194 cm e pesa oltre 365 chilogrammi. Viene conservata presso il Capitolium della città, dove fu rinvenuta nel 1826 assieme ad altri bronzi romani ora al Museo di Santa Giulia; è una delle opere più importanti della romanità per composizione, materiale e conservazione, e uno dei pochi bronzi romani proveniente da scavo giunti fino a noi. L'opera fu realizzata con la tecnica della fusione a cera persa cava indiretta, con la quale sono state realizzate oltre 30 parti compositive, fuse separatamente e poi saldate tra loro attraverso numerosi e complessi passaggi tecnici. Oggi mancano l'elmo, che doveva avere al di sotto del piede sinistro, e lo scudo, con inciso il nome del vincitore da lei designato, che mostrava alla vista di chi la guardava.
La figura veste un chitone e un himation per gli arti inferiori: a contatto con il corpo la divinità indossa un abito molto leggero, che segue le forme e ha un effetto di panneggio bagnato, lasciando scoperti la spalla destra e il petto. Due fibule, forse di metallo diverso dal bronzo, fermano questa veste sulle spalle. Intorno ai fianchi la Vittoria è coperta con un pesante mantello, dalle pieghe morbide e profonde. Sul retro si colgono dettagli di grande raffinatezza, quali le pieghe della stoffa. Le ali vennero trovate staccate al momento del rinvenimento, insieme alle braccia e furono rimontate poco dopo la scoperta: furono parti realizzate contemporaneamente al resto della fusione e poi vennero agganciate sulla schiena. La gamba sinistra è sollevata in quanto si ritiene che il piede poggiasse sull'elmo di Marte; a compimento dell'opera, sul capo fu posta un'agemina che incornicia il volto fiero e raffinato e i capelli sono raccolti con la coroncina illuminata da agemine in argento, che riproducono foglie probabilmente di mirto e rosette. In alcune zone delle parti anatomiche non coperte dai panneggi sono visibili tracce di doratura che probabilmente rivestiva tutta l'epidermide della statua.
Dopo secoli in cui si credeva fosse andata persa, l'opera fu rinvenuta nel luglio del 1826, in parte smontata e accuratamente nascosta nell'intercapedine occidentale del Capitolium tra il tempio e il Cidneo, assieme a molti altri pezzi bronzei tra cui la famosa serie di ritratti in parte ricoperti d'oro, e si pensò che durante le invasioni dei Goti e degli Unni si temesse che venisse fusa al fine di ricavarne delle armi. Secondo i primi studi, venne formulata un'ipotesi su come la statua fosse giunta a Brescia. Secondo tale ipotesi, la statua sarebbe stata trasportata a Roma per volontà di Augusto dopo la morte di Cleopatra nel 29 a.C. e quindi da lui donata a Brixia in segno di benevolenza politica, forse in occasione del conferimento alla città del titolo di Colonia Augusta. L'opera, infine, sarebbe stata trasformata in Nike, cioè Vittoria, dopo la seconda battaglia di Bedriaco che aveva segnato l'affermazione di Marco Antonio Primo, luogotenente di Vespasiano, su Vitellio. Era stato proprio Vespasiano, diventato imperatore, a volere il rifacimento del foro e del tempio capitolino della città, e si era supposto che la rielaborazione della statua da Afrodite a Vittoria fosse da collocare in questa occasione.
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Gli esami più recenti hanno rivelato la mancanza di significative difformità tra le ali ed il corpo della statua, omogeneità che verosimilmente indica che l'opera è nata da un unico processo costruttivo. La scultura fu oggetto d'analisi e studio nell'ambito di un progetto di ricerca dell'Istituto di scienze archeologiche dell'Università Goethe di Francoforte.
Nel luglio del 2018 l'opera fu affidata agli esperti dell'Opificio delle pietre dure di Firenze, coadiuvati da specialisti incaricati dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza"; la statua fu sottoposta ad un restauro durato due anni e fu oggetto di uno studio interdisciplinare congiunto che coinvolse archeologi, consulenti scientifici, ingegneri e restauratori. Gli interventi si sono concentrati sulla pulitura della scultura, sulla rimozione controllata dei materiali che riempivano la statua e della struttura interna di epoca ottocentesca a cui si agganciavano le ali e le braccia della Vittoria, infine sulla stesura di un materiale protettivo. Durante questo processo, sono state condotte indagini scientifiche ed esami volti a una conoscenza approfondita della tecnologia di costruzione, alla cronologia e all'origine della statua.
Dopo il restauro, presso il Capitolium è stata realizzata una struttura per accogliere la Vittoria Alata, dotata anche di un nuovo basamento antisismico.
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Ripartendo dal punto di Piazzale Arnaldo ho poi visitato nel tardo pomeriggio il Centro storico dove si concentrano vari antichi palazzi, chiese e le maggiori piazze cittadine. Centro di potere più antico è il Broletto, l'antico palazzo comunale, oggi Prefettura, situato in piazza del Duomo, oggi Piazza Paolo VI. Il nucleo originario dell'edificio risale al Duecento, in seguito ampliato a più riprese nel Trecento, nel Quattrocento e nel Seicento. Completa l'edificio la torre del popolo o del Pégol, la torre civica del XII secolo con la Balconata delle Grida. Oltrepassato il Duomo Nuovo, visito l'attiguo Duomo Vecchio, denominato la Rotonda. Il Duomo vecchio, la cattedrale invernale della città, è uno dei più importanti esempi di rotonda romanica in Italia, eretto nell'XI secolo, è un prezioso contenitore di opere d'arte, come tele del Moretto e del Romanino, un sepolcro di Bonino da Campione, la cripta di San Filastrio, risalente all'VIII secolo e la grande arca sepolcrale di Berardo Maggi, risalente all'inizio del Trecento. Passo poi in Piazza della Vittoria, realizzata nel 1932, in epoca fascista, su progetto dell'architetto Marcello Piacentini demolendo parte dell'antico centro storico medievale.
Giungo nella piazza più rinomata di Brescia, Piazza della Loggia, importante esempio di piazza rinascimentale chiusa. L'edificio principale è Palazzo della Loggia realizzato per volere della Repubblica di Venezia, sede della giunta comunale, costruito tra il 1492 e il 1570 con contributi architettonici di Palladio e Sansovino. Sul fianco sud della piazza sono invece allineati i due Monti di Pietà le cui facciate rappresentano il primo museo lapidario italiano (infatti, un decreto del Consiglio speciale della città di Brescia del 1480, sanciva che le lapidi di epoca romana rinvenute nell'area in cui sarebbero sorti questi due palazzi dovessero essere conservate per uso pubblico: furono quindi murate lungo le pareti di questi edifici e utilizzate come ornamento), mentre al centro del lato est si eleva il grande orologio astronomico del 1546, sormontato da due figure detti i macc de le ure che ancora oggi battono le ore. In questa parte della piazza dominano i luoghi del ritrovo cittadino, con i locali pubblici e una miriade di tavolini all'aperto: qui faccio la prima e lunga sosta della giornata davanti ad un caldo tè.
Avrei voluto visitare alcune chiese ma le ho trovate quasi tutte chiuse ad eccezione dell'ultima, Samta Maria in Calchera, così denominata per l'intervento di ampliamento sovvenzionato dalla famiglia dei Calchera nel 'Trecento. Tra la decorazione barocca dell'interno spiccano la Visitazione di Maria ad Elisabetta del 1525 di Callisto da Piazza di Lodi sull'altare maggiore e la Maddalena ai piedi di Gesù in casa del Fariseo del Moretto datata 1550, mentre l'immagine della Beata Vergine con Bambino del secolo XVI è detta B.V. del Camino.
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