La Sicilia Sud Orientale

Foto di Livio G. Rossetti e Anna Maria Bojeri

Agrigento e la Valle dei Templi

Partiti nel primo pomeriggio dal golfo di Pozzallo, ci siamo diretti lungo la strada di scorrimento veloce (la chiamano così in Sicilia) e, attraverso il territorio di Modica, Comiso e Vittoria tra i monti, siamo scesi al mare in corrispondenza di Gela e, dopo una breve pausa, abbiamo toccato il mare di Licata per giungere, dopo quattro ore ad Agrigento. Il Parco, ampio circa 1300 ettari, conserva un patrimonio monumentale e paesaggistico che comprende i resti dell’antica città di Akragas e il territorio circostante sino al mare. Nella Valle dei Templi, dichiarata nel 1997 dall’Unesco “patrimonio mondiale dell’umanità”, si trova uno dei maggiori complessi archeologici del Mediterraneo, immerso in un paesaggio agricolo prevalentemente costituito da ulivi centenari e mandorli.

Akragas fu una colonia greca, fondata circa il 582 a.C. da coloni provenienti da Gela e da Rodi. Il sito prescelto fu un altopiano naturalmente protetto a Nord dalla Rupe Atenea e dal Colle di Girgenti e a Sud dalla lunga Collina dei Templi, delimitato ai lati dai fiumi Akragas e Hypsas confluenti in un unico corso alla cui foce era l’antico porto. Fin dall’inizio la città, articolata per terrazzi, fu caratterizzata da un impianto urbanistico regolare. La Rupe Atenea era sede dell’acropoli con funzione sacra e difensiva; la Collina dei Templi ospitava i santuari monumentali; la zona centrale l’abitato e gli edifici pubblici, mentre i defunti venivano sepolti nelle necropoli fuori della città. Negli ultimi decenni del VI sec. a.C., Akragas fu circondata da una poderosa cinta muraria lunga 12 chilometri e dotata di nove porte. La colonia raggiunse fama e potenza sotto il tiranno Terone (488-471 a.C.) e, soprattutto, durante gli anni della democrazia (471-406 a.C.) instaurata dal filosofo Empedocle. In questo periodo fu costruita la serie di templi di stile dorico della collina meridionale. Un secondo conflitto contro i Cartaginesi segnò la fine di un’epoca di benessere e nel 406 a.C. Akragas fu distrutta. Durante le guerre puniche Akragas fu base dei Cartaginesi contro i Romani che nel 210 a.C. la conquistarono e ne mutarono il nome in Agrigentum. Sotto la dominazione romana la città visse una ulteriore fase di prosperità legata anche al commercio dello zolfo. In epoca cristiana sulla Collina dei Templi sorsero chiese e cimiteri. Quando nell’829 la città fu conquistata dagli Arabi i quartieri abitativi si erano già arroccati sul Colle di Girgenti, cosiddetto dal nome medievale della città (dall’arabo Gergent), dove si estende l’odierno abitato di Agrigento.





















La Valle dei Templi è caratterizzata dai resti di ben dieci templi in ordine dorico, tre santuari, una grande concentrazione di necropoli, opere idrauliche, fortificazioni, parte di un quartiere ellenistico romano costruito su pianta greca, due importanti luoghi di riunione (l'Agorà), un Olympeion e una sala del consiglio di epoca romana su pianta greca.
Prima di entrare nel parco archeologico, da lontano abbiamo ammirato alcuni dei resti degli antichi Templi e del Quartiere Ellenistico-Romano, entrando nella Valle dei Templi davanti al Tempio di Giunone.

Il tempio, è costruito in calcarenite locale e sorge in posizione dominante presso l’estremità orientale della Collina dei Templi. L’edificio, di stile dorico (450-440 a.C. ), poggia su un basamento di quattro gradini e presenta sei colonne sui lati brevi e tredici sui lati lunghi. L’interno era suddiviso in tre vani: quello centrale, la cella, era preceduto da un atrio di ingresso e seguito da un vano posteriore, questi ultimi avevano due colonne antistanti; ai lati della porta della cella si trovavano le scale di accesso al tetto. La superficie di alcuni blocchi arrossati mostra i segni dell’incendio forse riconducibile alla distruzione di Akragas compiuta dai Cartaginesi nel 406 a.C. Sul lato est si trovano i resti dell’altare monumentale preceduto da una scalinata di dieci gradini che conduceva al piano dove si celebravano i sacrifici. Numerosi restauri sono stati eseguiti a partire dalla fine del XVIII secolo, quando furono risollevate le colonne del lato nord, sino agli ultimi interventi di tipo statico e conservativo delle superfici lapidee.
A Ovest del tempio si trova Porta III originariamente aperta in una rientranza obliqua rispetto alla linea delle fortificazioni e percorsa da una carreggiata stradale ancora visibile. Il sistema difensivo risalente alla fine del VI sec. a.C. fu rinforzato durante il IV sec. a.C. dalla costruzione di un imponente torrione di cui oggi rimane parte del crollo dell’elevato.





Tomba di Terone































Il Tempio della Concordia deve la sua denominazione ad un’iscrizione latina con dedica alla Concordia degli Agrigentini rinvenuta nelle vicinanze ma che non ha con esso alcuna relazione. L’edificio, costruito in calcarenite locale, è di stile dorico (440-430 a.C.), poggia su un basamento di quattro gradini e presenta sei colonne sui lati brevi e tredici sui lati lunghi. L’interno era suddiviso in tre vani: quello centrale (cella) era preceduto da un atrio di ingresso e seguito da un vano posteriore.
L’interno e l’esterno del tempio erano ricoperti da un rivestimento di stucco bianco sottolineato da elementi policromi. Le dodici arcate ricavate nei muri della cella e le tombe scavate nel pavimento sono dovute alla trasformazione del tempio in basilica cristiana, grazie alla quale l’edificio deve il suo ottimo stato di conservazione. Infatti, secondo la tradizione, verso la fine del VI sec. d.C. il vescovo Gregorio si insediò nel tempio e lo consacrò ai Santi Apostoli Pietro e Paolo, dopo aver scacciato i demoni pagani Eber e Raps che vi risiedevano. La persistenza di una duplice dedica ha fatto pensare ad alcuni studiosi che originariamente il tempio fosse dedicato ai Dioscuri Castore e Polluce.

Sulla roccia affiorante a Ovest del tempio si estendeva la necropoli paleocristiana correlata alla trasformazione dell’edificio in basilica, comprendente un vasto settore di sepolture all’aperto scavate nel banco roccioso e un’ampia catacomba comunitaria con vari ipogei destinati a nuclei familiari; a Est del tempio sono visibili una serie di tombe ad arcosolio ricavate nello spessore del costone roccioso che aveva costituito la base delle fortificazioni di età greca.


















Il Tempio di Ercole, la cui attribuzione ad Ercole si deve a una testimonianza di Cicerone ritenuta generalmente attendibile, è il più antico dei templi di Agrigento e si data nella sua fase originale alla fine del VI sec. a.C. L’edificio, costruito in calcarenite locale, è di stile dorico e poggia su un basamento di tre gradini e presenta sei colonne sui lati brevi e quindici sui lati lunghi. A Est del tempio, i resti di un altare monumentale. Durante l’età romana la cella fu suddivisa in tre vani, forse perchè ad Ercole fu associato il culto di altre due divinità; una di queste potrebbe essere stata Esculapio, di cui si è rinvenuta una statua di marmo di età romana proprio all’interno della cella modificata. Numerosi restauri sono stati eseguiti a partire dal 1921 quando furono rialzate otto colonne del lato sud sino agli ultimi interventi di tipo conservativo.











Il Tempio di Giove Olimpico, costruito in calcarenite locale, è uno dei pochi edifici sacri di cui è sicura l’attribuzione alla divinità ed era il più grande tempio dorico dell’Occidente. L’edificio è noto da due fonti antiche. Polibio (II sec. a.C.) ne parla nella sua opera storica e lo descrive come incompiuto e Diodoro Siculo (I sec.a.C.) fornisce una descrizione dettagliata del tempio. I resti monumentali oggi visibili sono ciò che rimane a seguito delle distruzioni di epoca antica e recente, come quella avvenuta nel XVIII secolo quando le rovine divennero cava di pietra per la costruzione del molo di Porto Empedocle (1749-63).
Il grandioso edificio era collocato su una imponente piattaforma rettangolare su cui si ergeva un basamento di cinque gradini, di cui quello superiore, alto il doppio dei restanti, formava una specie di podio che separava nettamente l’altezza del tempio dall’ambiente circostante. Al posto del consueto colonnato aperto vi era un muro di recinzione rafforzato da semicolonne doriche, sette sui lati brevi e quattordici su quelli lunghi, a cui corrispondevano, nella parte interna, pilastri rettangolari. Internamente il tempio era diviso in tre vani. Elementi della decorazione architettonica della parte superiore del tempio sono presenti tra le rovine, come i frammenti del frontone scolpito che, secondo la descrizione di Diodoro Siculo, era decorato su un lato da una gigantomachia e sull’altro dalla presa di Troia. Una delle caratteristiche più singolari del tempio sono i Telamoni alti circa 8 metri, gigantesche figure mitologiche maschili che sostenevano la trabeazione.

Nel settore occidentale della Collina dei Templi si estendeva una immensa area sacra suddivisa in tre terrazzi contigui che sovrastavano la “magnifica piscina” realizzata durante il V sec. a.C. in cui confluiva una complessa rete di acquedotti. Qui vi era il Santuario delle divinità Ctonie, protettrici della fecondità della natura e dell’uomo. Nel terrazzo mediano si trova il tempio detto dei Dioscuri, di cui è visibile la ricostruzione dell’angolo nord-ovest eseguita nel 1836. In ultimo il Tempio di Vulcano che sorge su uno sperone roccioso a Ovest della Collina dei Templi ed è separato dal Santuario delle Divinità Ctonie dal taglio naturale della “magnifica piscina” realizzata durante il V sec. a.C.














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